Domenica 24 settembre Emmanuel Macron, ha annunciato che nelle «prossime ore» l’ambasciatore francese a Niamey sarebbe stato rimpatriato e che le truppe francesi sarebbero state ritirate entro la fine dell’anno.
«Noi mettiamo fine alla nostra cooperazione militare con in Niger», ha annunciato al telegiornale.
Si è concluso così il braccio di ferro che l’Eliseo aveva ingaggiato con le autorità installatesi in Niger dopo il colpo di Stato militare che – il 26 luglio – aveva destituito il presidente Mohamed Bazoum.
Nella più grande discrezione, alcune settimane dopo, il 10 ottobre tre voli speciali hanno iniziato a portare uomini e mezzi francesi da Niamey verso il Ciad. È l’ennesima “fuga” delle truppe francesi dal Sahel, dopo la partenza forzata prima dal Mali e poi dal Burkina Faso.
Nell’anno dell’indipendenza delle colonie, nel 1960, le truppe francesi in Africa ammontavano a 60 mila contro le 6mila di oggi. Già all’inizio dell’anno era stata prevista da Parigi una ulteriore contrazione, ma è chiaro che la propria debacle in Niger scompagina ulteriormente i piani francesi.
E la fine della presenza militare sembra andare a braccetto con il crepuscolo del dominio economico, e l’inizio di una collaborazione di altri partner verso un mondo effettivamente multipolare.
È la fine dell’Eurafrica, la faccia “nascosta” dell’imperialismo europeo per ri-europizzare il colonialismo, un progetto che tendeva a ridisegnare quella profondità strategica necessaria alla competizione inter-imperialistica apertasi con la fine del mondo bi-polare.
Con la creazione dell’Unione Europea possiamo parlare infatti del tentativo sostanzialmente fallito di una “terza colonizzazione” africana dopo quello che ha preceduto la Prima Guerra Mondiale ed il neo-colonialismo occidentale iniziato negli anni del compimento dell’indipendenza politica. Un progetto che ha le sue radici nella politica strangolatoria e nelle cure da cavallo degli istituti finanziari occidentali (Banca Mondiale e FMI) già ben prima della fine dell’Unione Sovietica.
Da un lato vi è il vecchio mondo che muore, dall’altro il nuovo che tra mille e una peripezia sta nascendo con i «colpi di Stato popolari» (Mali, Burkina Faso, Guinea-Conakry e Niger), le mobilitazioni contro le conseguenze della crisi del morente ordine neo-liberista (Nigeria e Ghana), e l’indomita opposizione alle democrature (Senegal e Costa d’Avorio), o alle dittature (Ciad), neo-coloniali.
Questo nuovo riscatto del Sahel può avere, nel ventre della bestia dell’imperialismo euro-atlantico, precisi riflessi soprattutto perché è portatore di una idea-forza di riscatto che investe le popolazioni e la diaspora, compresa la componente afro-discente delle classi subalterne che in questi anni ha costruito processi organizzativi importanti e condotto lotte importanti.
I popoli in rivolta stanno di nuovo scrivendo la storia, in America Latina, nel Sahel e nel mondo arabo.
Il Sahel è divenuto compiutamente uno dei principali punti di caduta dell’imperialismo euro-atlantico e la fucina della “quarta generazione” di rivoluzionari africani, nonché la culla di un nuovo pan-africanismo, aspetti che devono essere compresi a fondo e fortemente sostenuti dai comunisti in Occidente se non vogliono cadere in una visione euro-centrica e sciovinista, e diventare le stampelle del “proprio” imperialismo.
Di tutto questo, ne parliamo domenica 29 ottobre a Roma, dalle ore 10:30, al Cinema Aquila (via L’Aquila, 66 – zona Pigneto), insieme con:
- Augusta Epanya (Dynamique Unitaire Panafricaine)
- Charles Hoareau (Association Nationale des Communistes)
- Amzat Boukari-Yabara (Ligue Panafricaine-Umoja)
- Gando Diallo (Giù le mani dall’Africa)
- Cambiare Rotta – Organizzazione Giovanile Comunista
- Patrick Konde (Unione Sindacale di Base)
- Giacomo Marchetti (Rete dei Comunisti)