in Contropiano Anno 2 n° 2 – 8 marzo 1994
Come se non fosse abbastanza alto il livello della disoccupazione nel Sud, il governo Ciampi ha pensato bene, prima di uscire di scena, di regalarci l’ennesimo intervento post-tangentopoli, con una nuova legge contro il contrabbando di sigarette, che punisce severamente sia il contrabbandiere che l’utente. Questi vengono accomunati sul piano giuridico nel reato (contrabbando, evasione fiscale, ricettazione ecc.) e pertanto sottoposti a pesanti multe gli utenti e a pesanti condanne e arresti i contrabbandieri.
Appena entrata in vigore questa legge si è scatenata la rabbia degli interessati (che ricordiamo essere migliaia nel Sud, con forti presenze a Napoli, Brindisi, Bari e Taranto) con manifestazioni, blocchi stradali, cariche della polizia, minacce di dedicarsi allo spaccio di droga da parte dei contrabbandieri, ecc.
Vorremmo qui soffermarci non tanto sul merito del problema in sé (tra l’altro notiamo come non vengano menzionate le grandi multinazionali del settore, tipo: Marlboro, Philips Morris, Merit e via dicendo, come se il contrabbandiere fosse contemporaneamente anche produttore di sigarette e invece non ci fosse un “mercato di distribuzione parallelo” a quello ufficiale, gestito direttamente dalle case produttrici per ottenere maggiori profitti) ma bensì sul metodo e sul significato politico che questa iniziativa potrebbe determinare.
Innanzitutto, il metodo usato non fa altro che aggravare la situazione occupazionale nel Sud, in quanto aggiunge altri tagli di posti di lavoro, anche se considerati “illegali”, a quelli operati ultimamente dalla Fiat alla Sevel e all’Alfa di Pomigliano, alla chiusura di stabilimenti come l’Ilva di Bagnoli, l’Olivetti, la Selenia e via dicendo, con l’unico risultato di esasperare e degradare ulteriormente lo scontro sociale sul problema della disoccupazione.
Su questo stesso problema registriamo poi l’approssimazione delle stesse iniziative che il Governo ha preso, che sono ancora una volta all’insegna dell’assistenzialismo (prepensionamenti, Cassa Integrazione, mobilità lunga); del sottoimpiego in lavori cosiddetti di “utilità sociale”; della precarietà del reddito dovuta alla conferma del blocco della spesa sociale nel Sud e dai tagli operati negli stanziamenti statali in sede di Finanziaria.
Di qui dunque il rischio che lo scontro politico e sociale in atto, con la scesa in campo anche del settore di “lavoro illegale” (che difficilmente potrà avere margini di mediazione in quanto non è possibile avviare una qualsiasi trattativa “istituzionale” su questioni di illegalità), possa prendere strade nelle quali una sponda di “destra” diventa possibile e realistica.
Realistica perché la propensione storica di questi “lavoratori illegali” è tipicamente legata a comportamenti e forme rappresentative basate su individualismo, “ribellismo” e arroganza dei soggetti interessati, e dunque più vicine a organizzazioni di tipo corporativo o camorristico, oppure reazionarie, piuttosto che a forme di tipo sindacale o extra confederale tipo Cub o Cobas.
Possibile, soprattutto perché rischia di essere solo una mera “operazione di polizia” per altro gestita da una giunta cosiddetta progressista a guida PDS con Bassolino sindaco. La difficoltà di intervento sta anche nella considerazione che il contrabbando di sigarette, come tante altre attività illegali e semilegali, a Napoli e nell’intero meridione esistono e si sono sviluppate nel tempo per sopperire alla mancanza di attività economiche produttive legali.
Il contrabbando non è infatti l’unica attività illegale, ma solo la più pittoresca. Vanno, infatti, ricordati i posteggiatori abusivi, gli acquafrescai, i tassisti, i bagarini, i produttori di falsi marchi (dischi, videocassette, profumi, pelletteria, abbigliamento ecc…). Trascurare questo aspetto numerico del fenomeno ed imporre il ripristino della legalità post-tangentopoli, senza porsi il problema di garantire attività e sviluppo economico, alternativo a quello illegale o assistito, oltre ad essere pericoloso e superficiale, induce a pensare che possa nascondere altri e diversi obiettivi, come una volontà di esasperare ed accentuare una situazione già drammatica di differenza economica tra Nord e Sud, allo scopo di accelerare un progetto di separazione geografica del paese, o l’applicazione rigida della legalità, come uso vendicativo della giustizia da parte di forze politiche uscenti, affinché le masse esasperate possano invocare un ritorno al passato.
Non si può non tenere conto che il fenomeno è talmente diffuso, da essere ormai diventato un fatto culturale e come tale difficile da rimuovere. Oltre all’illegalità “legale”, ve ne è un’altra illegale, non considerata tale, come le officine che praticano il ricorso al lavoro minorile, l’evasione scolastica, il poliziotto che compra le sigarette di contrabbando, i proprietari di case che non applicano l’equo canone e chiedono un deposito cauzionale di parecchi milioni per affittare una casa, i falsi patentati, i falsi invalidi, i falsi diplomati, una falsa classe dirigente, ecc…
Praticamente una città falsa e illegale, conseguenza della politica assistenzialistica e clientelare del passato regime, fatta sulla pelle dei cittadini meridionali, che hanno visto sempre più peggiorare le proprie condizioni di vita economica e sociale, costretti a rincorrere l’obiettivo di soddisfare i bisogni e le necessità primarie come il lavoro, la casa, il reddito.
Un altro aspetto da considerare è la solidarietà che gli dimostra la gente. I cittadini non vedono il contrabbandiere come una persona che viola la legge; il reato del contrabbando è un reato di evasione fiscale, e in un momento come questo, in cui “tangentopoli” ha fatto emergere le centinaia di miliardi sottratti alla società e dove vengono condonati i grandi evasori, vengono a mancare le ragioni morali per poterli condannare.
Dunque, un ritorno alla legalità, pur se necessario soprattutto per gli stessi napoletani che non possono continuare a vivere una situazione simile, non può non avvenire senza creare contemporaneamente condizioni di giustizia legale, economica e sociale, uguali al resto del paese. Altrimenti, sarà fatta solo l’ennesima operazione di polizia, lasciando tutto com’era, e questo può solo significare ancora una volta non affrontare il problema meridionale, rinviarlo ad altri, farlo aumentare sempre più con il rischio di conseguenze inimmaginabili.
È forse questa la soluzione individuata?
Non sarà che, utilizzando ragioni di “ordine pubblico”, si vuole iniziare a sperimentare, partendo dal Sud, una società basata sull’uso della repressione come elemento di soluzione dei problemi presenti sul terreno politico sociale!