in Contropiano Anno 1 n° 1 – 26 maggio 1993
Ad aprile abbiamo incontrato il compagno Melunet Zengin, rappresentante del Fronte di Liberazione Nazionale del Kurdistan (ENRK) a Ginevra. Proprio in quei giorni la Direzione del Fronte (di cui è parte integrante il PKK, partito comunista curdo) aveva rinnovato il cessate il fuoco nei confronti delle truppe di occupazione turche, già decretato dal 17 marzo al 15 aprile.
Siamo alla tregua nel conflitto che oppone il popolo curdo al regime di Ankara? È ancora presto per una risposta definitiva, ma alcuni avvenimenti vanno in tale direzione.
“L’obiettivo di questo cessate il fuoco,” ci ha detto Mehmet, “è quello di arrivare a una soluzione politica del conflitto. Adesso è stato rinnovato ma è condizionato alla cessazione degli attacchi armati dei militari turchi contro la nostra popolazione.”
Nel mese di aprile, molti organi di stampa avevano parlato di una cessazione delle azioni militari del governo di Ankara contro i Curdi e di un indebolimento della resistenza dell’ENRK di fronte alla pressione delle forze armate turche. “In realtà la Turchia ha proseguito quella che chiamiamo la ‘guerra sporca’ contro la popolazione kurda utilizzando gruppi paramilitari e attaccando la popolazione civile,” denuncia Mehmet. “Adesso è necessaria una campagna internazionale a sostegno dei negoziati e per il ritiro delle truppe turche dal Kurdistan.”
Mehmet Zengin ci mostra un voluminoso dossier presentato dall’ENRK alla Commissione Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite a Ginevra. In esso sono documentati anni e anni di oppressione, tortura, eliminazione fisica e militarizzazione realizzate dal regime turco contro i curdi. “La Commissione non ha preso alcuna posizione o decisione di condanna verso la Turchia,” sostiene Mehmet, “la Turchia è un membro della NATO e gode di un trattamento privilegiato.”
In un comunicato stampa internazionale, i comitati di solidarietà con il Kurdistan in Europa ricostruiscono il tentativo di arrivare ad una soluzione negoziata del conflitto.
“Il cessate il fuoco unilaterale proclamato dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) per trovare una soluzione politica e pacifica al problema kurdo viene sostenuto da considerazioni politiche ed umanitarie. Nel corso della conferenza stampa tenuta il 17 marzo dal Segretario Generale del PKK, Abdullah Ocalan, in presenza di Calai Talabani, leader dell’Unione Patriottica del Kurdistan, il PKK ha compiuto un passo storico senza precedenti. Nel decretare il cessate il fuoco, la parte kurda ha aperto la via al dialogo nella risoluzione politica del problema kurdo nel rispetto e nell’interesse comune dei popoli curdo e turco.”
Il documento ricorda poi il prezzo di questa guerra d’annientamento contro i curdi scatenata dalla Turchia. Dal 1984, anno in cui la resistenza kurda decise di passare alla lotta armata generalizzata, ci sono stati 18.000 morti; 24.000 prigionieri e più di un milione di deportati.
Il documento lamenta anche che dopo la dichiarazione del cessate il fuoco, gli attacchi militari turchi sono continuati provocando circa 50 morti, un migliaio di prigionieri e la distruzione di alcuni villaggi a causa degli attacchi aerei e terrestri.
“Il popolo kurdo non vuole la guerra ma la pace,” afferma il comunicato che fornisce poi l’elenco delle organizzazioni e personalità che in Europa stanno appoggiando il cessate il fuoco chiedendo al governo turco di fare altrettanto. In Italia, per ora, hanno aderito i parlamentari verdi Molinari, Rocchi, Procacci, Chiara Ingrao del PDS, gli esponenti pacifisti Walter Peruzzi e Franco Passuello. Reggerà la tregua? Secondo alcune fonti la morte di Turgut Ozal (più attento a non guastare i rapporti con l’Europa e ad evitare ogni incidente sui diritti umani), la politica del premier Demirel e il ruolo sempre più inarcato di nuova potenza regionale che sta svolgendo la Turchia non inducono all’ottimismo.