in Contropiano Anno 1 n° 3 – 22 settembre 1993
Dopo mesi di trasformazioni e trasformismo politico, la crisi politica italiana pare avviarsi verso una nuova stabilità. Definita la strategia economica e gli obiettivi delle riforme istituzionali, i vecchi partiti e i gruppi di potere ad essi collegati hanno ridislocato le loro forze dentro il nuovo quadro. L’astro di Segni sembra voler rientrare nel firmamento democristiano lasciando al palo il PDS. Le rodomontate di Bossi e la demagogia neofascista della Lega cominciano ad avere il fiato corto. Dal grande caos della crisi italiana, attraverso il rassicurante modello del “Partito Popolare”, riemerge come unico punto di riferimento del moderatismo la Democrazia Cristiana.
La categoria del gattopardismo è un classico della cultura e della vita politica nel nostro paese. “Cambiare tutto affinché non cambi niente” è un concetto che va preso però con le pinze. Le cose che il cosiddetto “nuovismo” ha imposto di cambiare sono concrete: privatizzazione dell’economia; blocco dei salari; eliminazione del timidissimo stato sociale esistente in Italia; abolizione di tutti i meccanismi elettorali di tipo proporzionale; riduzione del ruolo del Parlamento, dei consigli comunali e di tutti gli organismi elettivi a meri spettatori dello strapotere degli esecutivi.
Su questi elementi, a meno che non si scateni un forte movimento di lotta e di resistenza democratica, operaia e progressista, sarà difficile impedire quei “cambiamenti” strutturali e reazionari nascosti dal “nuovo che avanza”.
Ma per gestire un programma d’urto come quello avviato dal triangolo Governo-Banca d’Italia-Confindustria, il potere della ‘tecnoburocrazia’, che sta determinando le sorti del paese (vedi la RAI, l’IRI, l’ENI, le Ferrovie ecc.) non è sufficiente, occorrono forme di espressione politica capaci di rappresentare questo programma ma anche il suo contrario. Esiste certo un livello di cooptazione nel patto neocorporativo di CGIL CISL UIL che non ha precedenti, ma è fondamentale che al “centro” del quadro politico ci sia una forza capace di gestire la brutalità delle misure neoliberiste e la nobiltà della “solidarietà sociale”. Una forza politica centrista con queste caratteristiche in Italia ha sempre coinciso con la Democrazia Cristiana. Ma la DC ha subito brutte botte nella vicenda tangentopoli, ha sofferto un deficit di credibilità, ha logorato la sua relazione speciale con gli USA, soffre in alcune aree elettorali del nord la crescita della Lega.
Ma esiste in Italia un’altra formazione politica tanto flessibile da essere capace di assicurare la stabilità del “centro” politico? Allo stato presente no. Anzi, le elezioni comunali del giugno scorso hanno messo in luce una tendenza alla polarizzazione tra destra e sinistra che penalizza fortemente proprio il centro.
Da queste esigenze nasce dunque il “Partito Popolare” che si avvia a sostituire l’immagine della Democrazia Cristiana. In esso conviveranno, come nella vecchia DC, le vestali come Rosy Bindi e i nuovi boiardi come Mastella, gli arroganti Casini e il ragionevole De Mita. Il neo segretario Martinazzoli è riuscito a compiere l’operazione dando a tutti l’illusione di dar vita ad un partito diverso dalla DC.
In realtà, anche il nuovo sistema politico italiano, avrà bisogno di un forte partito che abbia le caratteristiche della vecchia DC, che, sostanzialmente, copra politicamente e stabilizzi tutte le contraddittorie esigenze della società: dalla padrone allo sfruttato, dal cinismo del tecnocrate al pio agire dei volontari della Caritas, dal cattolicesimo sociale all’integralismo dei ciellini.
Che l’operazione del “Partito Popolare” appaia ormai convincente, ce lo conferma il riavvicinamento di Segni. Esauriti i temi referendari sulle riforme elettorali, esaurito il vento in poppa assicuratogli da un ampio schieramento che voleva queste riforme (incluso Occhetto), esaurito, soprattutto, il suo compito di demolitore del vecchio sistema politico realizzato in modo complementare con la Lega, Segni ha scoperto di avere esaurito argomenti, credibilità, forza politica e di non avere, in sostanza, altri spazi se non dentro la DC/Partito Popolare. Martinazzoli non nasconde di volerlo candidare come Primo Ministro della prossima legislatura.
Ma se Segni ha esaurito la sua corsa, anche gli altri poli dello scenario politico soffrono questa rientrata in scena della DC. Il PDS di Occhetto senza Segni e Alleanza Democratica è rimasto con il classico cerino acceso in mano: se il “centro” torna alla DC a che cosa serve il PDS? A cosa è servito sostenere Castellari sindaco a Torino e Rutelli sindaco a Roma? Se il “centro” a cui ha puntato tutta l’operazione PDS è occupato, dove andrà a collocarsi nel quadro politico?
Ma la ripresa della DC/Partito Popolare pone serissimi problemi anche alla Lega. Una volta esaurito il ruolo di demolitori della Prima Repubblica e di magnete per tutto il furore antipartitocratico accumulatosi in questi anni, la Lega si trova al bivio: o sceglie la strada della buona amministrazione là dove governa esponendosi al logoramento di tutti gli altri partiti o sceglie la strada dell’eversione, della secessione, della conseguenza tra proclami e fatti. Ma sul terreno politico/istituzionale la DC ha capacità di recupero e molta più esperienza dei giovani gerarchi leghisti, mentre sul terreno dello scontro è evidente che le conseguenze sarebbero talmente drammatiche da cambiare radicalmente tutte le regole del gioco (in fondo anche nel Sud qualcuno sta lavorando alla secessione).
Infine la trappola del viaggio in America, ha ridicolizzato le premature velleità internazionali della Lega. È vero che ancora prima di Luttwak negli ambienti del Dipartimento di Stato si era cominciato a prendere in esame il ruolo della Lega. Forse è anche vero che un certo ruolo della Lega abbia coinciso con alcune intenzioni “destabilizzanti” contro una DC troppo orientata verso l’Europa e il mondo arabo e troppo distratta verso le storiche alleanze con gli USA. Ma per un paese strategico come l’Italia, neanche la più avventurista delle amministrazioni USA sceglierebbe un interlocutore ancora tutto da verificare.
Il nodo del quadro politico italiano resta dunque la DC/Partito Popolare, cioè un partito estremamente flessibile e capace di gestione “nella società” delle scelte del potere. È un partito non più appiattito sull’atlantismo e che, in un anno, invita per ben due volte Khol in Italia nelle proprie manifestazioni politiche; è un partito che recupera Andreotti attraverso il meeting di CL; che manda i vecchi e i nuovi boiardi con gli alfieri di Mani pulite; che in una situazione di profonda crisi economica, sociale e morale come quella che attraversa il paese appare in grado di sfruttare meglio di tutti le carte di credito che gli offre la Chiesa cattolica: che è ancora capace, infine, di garantire la stabilità del quadro politico e del “centro” nonostante le riforme elettorali che hanno introdotto il sistema maggioritario. Moriremo dunque democristiani?