in Contropiano Anno 1 n° 3 – 22 settembre 1993
Pubblichiamo parte dell’intervento del compagno Cuauhtemoc Amezucua Dromundo, deputato e dirigente del Partito Popolare Socialista del Messico, sulla realtà e il carattere di classe della democrazia in America Latina.
L’interrelazione che esiste tra gli ambiti dell’economia, della politica e del sociale è stretta. I popoli dell’America Latina hanno sofferto dei gravi arretramenti in questi tre ambiti negli ultimi dieci anni o poco più di predominio del neoliberismo dipendente.
Ad una prima occhiata superficiale vedremo davanti ai nostri occhi un panorama diverso e in un certo modo contraddittorio tra l’ambito del politico e gli altri due.
Si può dire, in alcuni casi, che ci sono stati avanzamenti per ciò riguarda la vita democratica della regione a fronte dell’arretramento registrato nel livello di vita dei mostri popoli…. Sono cadute alcune dittature militari e sono state sostituite da governi emersi da processi elettorali; alcuni di essi mantengono ancora questa caratteristica; altri sono stati oggetto di autogolpe di Stato o vittime di una aperta ingerenza di forze esterne.
Ma il problema del modello di democrazia, è bene ricordarlo, non è di forma ma di contenuto. Esso non dipende da come sono arrivati al potere coloro che lo esercitano ma l’identità classista di chi lo sta esercitando.
Partendo dal principio per cui il titolare del potere sovrano è necessariamente il beneficiario fondamentale dello stesso, basterebbe determinare con quale mezzo ognuno dei nostri popoli – intendendo con popolo la maggioranza popolare di ogni paese – ha beneficiato della organizzazione politica, sociale ed economica per rispondere alla domanda se esiste o no democrazia e quale grado di essa si pratica.
In effetti, viste le cose, ci dice poco sulla esistenza reale o no della democrazia o sul grado di avanzamento e profondità della stessa se partiamo solo dal diritto di voto da parte dei cittadini o dal numero di partiti politici esistenti o dalla pratica dell’alternanza al potere. Piuttosto che questi criteri sono gli indicatori di carattere sociali quelli determinanti. In primo luogo la forma nella quale si distribuisce il prodotto sociale, perché altrimenti come potremo comprendere l’esistenza di un regime nel quale il potere sovrano risieda nel popolo e debba operare a beneficio del proprio popolo ma il prodotto sociale si concentra in modo elevato nelle mani di gruppi minoritari?
E’ evidente la incompatibilità tra democrazia reale e settori consistenti della popolazione sottomessi a povertà ed emarginazione.
E’ indubbio che in questo caso il potere sovrano venga esercitato precisamente da gruppi elitari che risultano i beneficiati della situazione economica, politica e sociale e non dal popolo, e questo indipendentemente dal fatto chi si siano elezioni a intervalli regolari o no, che in esse si rispettino i risultati elettorali o che si alternino due o più partiti nei posti pubblici.
Condizioni di vita e contenuto della democrazia in Messico
Gli indicatori di carattere sociale che riflettono realmente il contenuto democratico o antidemocratico dei sistemi politici imperanti sono invece, senza alcun dubbio, quelli della speranza di vita, dell’alfabetismo, dell’educazione e della cultura, dell’occupazione/disoccupazione ed altri che esprimono la possibilità reale di accesso delle masse popolari ai beni generati dalla collettività o la difficoltà di tale accesso. Partendo da questa concezione, cioè dall’unità indistruttibile che si dà tra coloro che esercivano il potere sovrano e chi ne beneficia principalmente, vediamo cosa ci rivelano gli indicatori economico-sociali del Messico. Esiste una profonda iniquità nella distribuzione della ricchezza. Ciò riflette l’esistenza di un grave problema di ordine economico e sociale, ma anche – ed è fondamentale – di assenza di democrazia reale.
Ma questo non potrà essere corretto se si ottengono cambiamenti formali nell’ambito della politica come ad esempio l’alternanza al potere tra due partiti della borghesia reazionaria, anzi ciò può consolidarla.
Oggi, nel quadro del neoliberismo dipendente impiantato in Messico, tale tendenza si sta accentuando. Appena otto anni fa, il 30% della popolazione più debole riceveva l’11,8% della ricchezza nazionale, ma nel 1992 questa quota si è ridotta al 7,8%.
I salari minimi dal 1976 al 1992 hanno perso i due terzi del loro valore; i salari medi industriali si sono ridotti a poco meno della metà del potere d’acquisto che avevano dieci anni fa. I dati del Programma Nazionale di Solidarietà evidenziano che 37 milioni di messicani – quasi la metà della popolazione – sono al di sotto della soglia di povertà e che 17 milioni di essi non possono uscire dalla miseria.
Questi dati, tra l’altro, sono forniti da organismi reazionari; infatti, la Commissione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e lo sviluppo eleva considerevolmente il numero dei messicani poveri e di quelli che lo sono in maniera ancora più estrema.
Il Messico sotto il modello neoliberista dipendente ha perso sovranità ed indipendenza nazionale; ha perso anche – e lo perde ogni giorno di più – il suo carattere unitario ad ogni livello. Dal punto di vista economico, il Messico si sta convertendo sempre più in un paese abissalmente differenziato. Oggi il mercato messicano è rappresentato da non più di otto milioni di persone – più o meno il 10% della popolazione. Questo è il Messico che possiamo denominare moderno e se si vuole opulento. Dall’altro lato abbiamo 78 milioni di compatrioti che la politica neoliberista dipendente ha condannato ad una crescente povertà. Il compito del Partito Popolare Socialista e delle altre forze di carattere democratico e progressista del mio paese è quello di unire gli sforzi per modificare i rapporti di forza e rovesciare questo processo drammaticamente ingiusto.
Pubblichiamo parte dell’intervento del compagno Cuauhtemoc Amezucua Dromundo, deputato e dirigente del Partito Popolare Socialista del Messico, sulla realtà e il carattere di classe della democrazia in America Latina.
L’interrelazione che esiste tra gli ambiti dell’economia, della politica e del sociale è stretta. I popoli dell’America Latina hanno sofferto dei gravi arretramenti in questi tre ambiti negli ultimi dieci anni o poco più di predominio del neoliberismo dipendente.
Ad una prima occhiata superficiale vedremo davanti ai nostri occhi un panorama diverso e in un certo modo contraddittorio tra l’ambito del politico e gli altri due.
Si può dire, in alcuni casi, che ci sono stati avanzamenti per ciò riguarda la vita democratica della regione a fronte dell’arretramento registrato nel livello di vita dei mostri popoli…. Sono cadute alcune dittature militari e sono state sostituite da governi emersi da processi elettorali; alcuni di essi mantengono ancora questa caratteristica; altri sono stati oggetto di autogolpe di Stato o vittime di una aperta ingerenza di forze esterne.
Ma il problema del modello di democrazia, è bene ricordarlo, non è di forma ma di contenuto. Esso non dipende da come sono arrivati al potere coloro che lo esercitano ma l’identità classista di chi lo sta esercitando.
Partendo dal principio per cui il titolare del potere sovrano è necessariamente il beneficiario fondamentale dello stesso, basterebbe determinare con quale mezzo ognuno dei nostri popoli – intendendo con popolo la maggioranza popolare di ogni paese – ha beneficiato della organizzazione politica, sociale ed economica per rispondere alla domanda se esiste o no democrazia e quale grado di essa si pratica.
In effetti, viste le cose, ci dice poco sulla esistenza reale o no della democrazia o sul grado di avanzamento e profondità della stessa se partiamo solo dal diritto di voto da parte dei cittadini o dal numero di partiti politici esistenti o dalla pratica dell’alternanza al potere. Piuttosto che questi criteri sono gli indicatori di carattere sociali quelli determinanti. In primo luogo la forma nella quale si distribuisce il prodotto sociale, perché altrimenti come potremo comprendere l’esistenza di un regime nel quale il potere sovrano risieda nel popolo e debba operare a beneficio del proprio popolo ma il prodotto sociale si concentra in modo elevato nelle mani di gruppi minoritari?
E’ evidente la incompatibilità tra democrazia reale e settori consistenti della popolazione sottomessi a povertà ed emarginazione.
E’ indubbio che in questo caso il potere sovrano venga esercitato precisamente da gruppi elitari che risultano i beneficiati della situazione economica, politica e sociale e non dal popolo, e questo indipendentemente dal fatto chi si siano elezioni a intervalli regolari o no, che in esse si rispettino i risultati elettorali o che si alternino due o più partiti nei posti pubblici.
Condizioni di vita e contenuto della democrazia in Messico
Gli indicatori di carattere sociale che riflettono realmente il contenuto democratico o antidemocratico dei sistemi politici imperanti sono invece, senza alcun dubbio, quelli della speranza di vita, dell’alfabetismo, dell’educazione e della cultura, dell’occupazione/disoccupazione ed altri che esprimono la possibilità reale di accesso delle masse popolari ai beni generati dalla collettività o la difficoltà di tale accesso. Partendo da questa concezione, cioè dall’unità indistruttibile che si dà tra coloro che esercivano il potere sovrano e chi ne beneficia principalmente, vediamo cosa ci rivelano gli indicatori economico-sociali del Messico. Esiste una profonda iniquità nella distribuzione della ricchezza. Ciò riflette l’esistenza di un grave problema di ordine economico e sociale, ma anche – ed è fondamentale – di assenza di democrazia reale.
Ma questo non potrà essere corretto se si ottengono cambiamenti formali nell’ambito della politica come ad esempio l’alternanza al potere tra due partiti della borghesia reazionaria, anzi ciò può consolidarla.
Oggi, nel quadro del neoliberismo dipendente impiantato in Messico, tale tendenza si sta accentuando. Appena otto anni fa, il 30% della popolazione più debole riceveva l’11,8% della ricchezza nazionale, ma nel 1992 questa quota si è ridotta al 7,8%.
I salari minimi dal 1976 al 1992 hanno perso i due terzi del loro valore; i salari medi industriali si sono ridotti a poco meno della metà del potere d’acquisto che avevano dieci anni fa. I dati del Programma Nazionale di Solidarietà evidenziano che 37 milioni di messicani – quasi la metà della popolazione – sono al di sotto della soglia di povertà e che 17 milioni di essi non possono uscire dalla miseria.
Questi dati, tra l’altro, sono forniti da organismi reazionari; infatti, la Commissione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e lo sviluppo eleva considerevolmente il numero dei messicani poveri e di quelli che lo sono in maniera ancora più estrema.
Il Messico sotto il modello neoliberista dipendente ha perso sovranità ed indipendenza nazionale; ha perso anche – e lo perde ogni giorno di più – il suo carattere unitario ad ogni livello. Dal punto di vista economico, il Messico si sta convertendo sempre più in un paese abissalmente differenziato. Oggi il mercato messicano è rappresentato da non più di otto milioni di persone – più o meno il 10% della popolazione. Questo è il Messico che possiamo denominare moderno e se si vuole opulento. Dall’altro lato abbiamo 78 milioni di compatrioti che la politica neoliberista dipendente ha condannato ad una crescente povertà. Il compito del Partito Popolare Socialista e delle altre forze di carattere democratico e progressista del mio paese è quello di unire gli sforzi per modificare i rapporti di forza e rovesciare questo processo drammaticamente ingiusto.