“Una Storia anomala. Secondo volume”
La costruzione controcorrente di una organizzazione sindacale indipendente
Nel primo testo di “Una storia anomala” abbiamo descritto la nascita delle prime esperienze sindacali tramite i comitati operai nelle fabbriche, le lotte contro il precariato e quella dei disoccupati organizzati di Roma, che si andavano anche a coordinare all’epoca con altre spinte conflittuali dal basso nei posti di lavoro, aprendo una nuova stagione sindacale che si sarebbe poi manifestata appieno alla fine del decennio successivo. Le esperienze conflittuali dirette dai militanti dell’OPR nel ’79 scelgono di organizzarsi in forma sindacale vera e propria, le Rappresentanze Sindacali di Base, di fronte al clima repressivo verso i comitati di lotta e la difficoltà a sedimentare le forze in forme provvisorie e non stabilizzate quali, appunto, i comitati.
In questo secondo libro cerchiamo di delineare sia lo sviluppo politico nel corso degli anni ’80 e ’90 che alcuni momenti significativi del processo di costruzione. Nell’avviare questa diversa prospettiva intendevamo recuperare anche la parte migliore della storia del sindacato di classe nel nostro paese di fronte alle svendite che si profilavano con le politiche dei sindacati confederali dopo la svolta dell’EUR del febbraio del 1978. Continuare su quel tracciato storico e su quei principi a partire dagli anni ’80 non è stato affatto facile ed ha significato determinare passaggi, generali e specifici, complicati, sofferti e con qualche sconfitta da sostenere e contenere per mantenere aperta una prospettiva sindacale indipendente dai padroni e dallo Stato. Per capire questo processo di costruzione è bene conoscere i passaggi, le difficoltà, gli eventuali passi indietro dove la divaricazione tra possibilità obiettive di crescita e effettiva capacità dell’organizzazione di sostenerla ha spesso rischiato di trasformarsi da problema in contraddizione.
Ricostruire il percorso concreto non ha perciò la funzione di affermare semplicemente alcuni riferimenti generali ma di dare nella lettura del testo un metro di misura della nostra esperienza concreta. In questo senso cerchiamo qui di spiegare gli snodi, sia teorici e d’impostazione sia pratici, della crescita per ricostruire quel filo senza soluzione di continuità che porta direttamente alle questioni legate alla prospettiva politica ed al progetto pratico perseguito.
Dopo l’accordo dell’Eur del ’78
Il punto di rottura con il sindacalismo storico nel nostro Paese avviene, per noi come per molti altri lavoratori e militanti sindacali, alla fine degli anni ’70 e più precisamente dopo lo storico accordo dell’EUR che avvia la fase di collaborazione manifestatasi appieno nel ’93 con la nascita della ben nota “concertazione”. Essendo molto diffusa all’epoca la critica alle posizioni confederali, la reazione e l’opposizione fu ampia ma assunse forme diverse in base alle varie collocazioni politiche e sindacali di allora, non riuscendo perciò a cambiare il corso delle scelte confederali a cominciare dalla CGIL.
La strada intrapresa, per certi versi impostaci ed obbligata dalla situazione in cui eravamo, è stata quella di avviare strutture sindacali indipendenti anche sul piano formale legate soprattutto allo specifico di un numero limitato di posti di lavoro. La particolarità del nucleo che diede vita alle prime RdB è stata quella di non provenire dal Pubblico Impiego ma da realtà operaie e dalla lotta dei disoccupati di Roma e di Napoli. Quelle realtà operaie, costituitesi in comitati, presenti in alcune grandi fabbriche di Roma e di Pomezia, riuscirono in quegli anni ad imporsi nelle elezioni dei consigli di fabbrica con forti scontri con i confederali. La reazione di CGIL, CISL, UIL all’affermazione elettorale dei delegati indipendenti fu la loro espulsione dai consigli lasciando una parte consistente dei lavoratori di quelle fabbriche senza rappresentanza.
Naturalmente quello che accadeva non era nient’altro che il riflesso di una situazione generale che vivevano i lavoratori di tutti i comparti produttivi e di cui l’esempio più evidente fu il licenziamento nel 1980 dei 61 operai, avanguardie della FIAT, che non furono difesi dai confederali. Questi pretestuosi licenziamenti precedettero la cassa integrazione per 27.000 lavoratori decisa l’anno successivo, che portò Berlinguer di fronte ai cancelli della FIAT, mostrando così la debolezza e la subordinazione di chi voleva cogestire i processi di ristrutturazione che la grande industria avviò in quel periodo a danno esclusivo dei lavoratori.
In contemporanea all’evoluzione dello scontro sui delegati di fabbrica si andavano formando, negli enti locali a Roma e nella sanità di Napoli, grazie alle lotte dei disoccupati e dei lavoratori precari degli appalti, ed anche sul piano nazionale, nei Vigili del Fuoco e in particolare all’INPS, altri nuclei di lavoratori organizzati che seguirono lo stesso percorso delle fabbriche, cioè eletti prima nei consigli dei delegati e poi espulsi. Questa repressione attuata in prima persona dai confederali pose il problema se rispondere mantenendo il carattere di “movimento” dei vari comitati di lavoratori che si erano costituiti e rafforzati oppure se decidere per un passaggio formale di sindacalizzazione.
Va ricordato che quella fase e quelle problematiche non furono vissute solo da chi decise di fondare le RdB ma anche da lavoratori del trasporto aereo, urbano, della SIP (telefoni) etc. con i quali si condivise la scelta di dare vita al giornale sindacale “NOI” che fu pubblicato fino agli anni ’90. La scelta di formalizzare strutture sindacali non fu facile ed ebbe anche una certa ostilità del movimento di opposizione e sindacale che contestava, da una parte, una supposta tendenza alla istituzionalizzazione e, dall’altra, un supposto minoritarismo rispetto a chi invece sceglieva di stare nei sindacati confederali perché lì c’erano le famose “masse”.
Alcune critiche potevano anche essere corrette e forse non erano ancora razionalmente chiare tutte le implicazioni, nei tempi e nei modi, di una scelta nettamente sindacale ma quello che spinse in quel senso era l’idea che in ogni caso l’affermazione di un movimento sindacale indipendente aveva bisogno di una riconoscibilità e di un progetto chiaro da seguire e costruire. La scelta, insomma, fu quella di aprire una prospettiva pratica alle esigenze pratiche dei lavoratori nei singoli posti di lavoro che venivano sempre meno rappresentati dalle scelte confederali, con la coscienza che era necessario avviare un processo organizzato più largo possibile nei limiti delle nostre possibilità materiali.
Fatta questa scelta, che provocò anche un certo isolamento nel movimento dell’epoca, si costituirono le prime strutture sindacali, posto di lavoro per posto di lavoro, e cominciò una nuova esperienza conflittuale e vertenziale che man mano cresceva e si espandeva. La lotta per la stabilizzazione dei precari della 285 estese la presenza delle RdB in vari posti di lavoro a livello nazionale, la chiusura delle fabbriche dove erano presenti i vecchi comitati operai produsse prima cassa integrazione e mobilità e poi il reinserimento di questi lavoratori nel Pubblico Impiego dove le RdB si stavano nel frattempo affermando. A metà degli anni ’80 si decise di unificare le strutture RdB in una Federazione Nazionale e si aprì la battaglia sulla rappresentanza rivendicando i diritti sindacali e presentando su questi problemi un disegno di legge al Senato a firma del senatore Nino Pasti, all’epoca senatore indipendente del PCI. La legge fu presentata il 7 Febbraio dell’83 con l’intento di apportare modifiche alle norme dello Statuto dei Lavoratori, palesemente in contrasto con i principi ispiratori che dovrebbero garantire ad ogni lavoratore il diritto di organizzarsi all’interno del proprio posto di lavoro e di esercitare liberamente l’attività sindacale.
Sempre presente nelle RdB è stato anche lo spirito internazionalista e già dal 1986 si è lavorato per poter aderire alla “Federazione Sindacale Mondiale” partecipando tra il 16 e 22 settembre di quell’anno a Berlino all’XI Congresso della FSM. Alla presenza delle RdB si oppose fortemente la CGIL che pure partecipava solo a titolo di osservatore.
Quello che invece va evidenziato è che alla fine degli anni ’80, cioè a meno di un decennio dalla nascita delle RdB, esplose l’opposizione spontanea dei lavoratori prima con la nascita e gli scioperi dei macchinisti del COMU e poi con quella dei COBAS della scuola che portarono in piazza, in modo assolutamente inaspettato per tutti, centinaia di migliaia di insegnanti. Quelle forme di mobilitazione completamente extraconfederali erano una forma iniziale d’opposizione sociale, che si trascinava anche caratteri corporativi, in ogni modo positivi in quanto si opponevano al governo ed ai confederali, ma aprivano una prospettiva completamente nuova per chi, come noi, aveva vissuto in quegli anni in “splendida” solitudine il conflitto sindacale. Conflitto costruito non sull’onda di un movimento di massa ma in base ad una scelta politica, razionalmente elaborata e probabilmente, come purtroppo capita spesso, in anticipo sui tempi.
Tale impostazione di fondo portò anche a valutazioni differenti dal movimento originario dei COBAS sulla necessità di definire i caratteri dell’organizzazione sindacale e dell’autorganizzazione dei lavoratori. Le RdB a questo proposito espressero a suo tempo un giudizio chiaro: “hanno riproposto vecchi schemi movimentisti i quali non vogliono fare i conti con le necessità dell’organizzazione e del rapporto costante tra questa, i lavoratori e i risultati delle lotte. L’esempio più evidente nei suoi limiti è stato quello dei COBAS della scuola i quali, partiti da una enorme forza nata dalla mobilitazione della categoria, non sono stati in grado di affrontare i problemi politici e sindacali che venivano dal movimento dei lavoratori. Questa incapacità ha portato prima alla nascita delle tendenze corporative, …Gilda, poi…allo sfiancamento della lotta ed alla ripresa dei vari sindacati, confederali e autonomi… che si sono riproposti così interlocutori stabili e credibili.” Da quel momento si avviò il primo passaggio di massa per l’organizzazione delle RdB nel Pubblico Impiego ma anche nei primi settori del privato, dove lo scontro era molto più duro e dove si doveva fare i conti con la repressione dei padroni, in senso pieno fino a subire anche licenziamenti in varie vertenze avviate in diverse regioni italiane.
La crisi del ’92, l’euro e la CUB
Il secondo passaggio si è determinato nel ’92 quando si sono coniugati diversi elementi che hanno dato un’altra spinta in avanti al sindacalismo indipendente. Le cause obiettive stanno nella famosa crisi del Serpente Monetario Europeo e nella finanziaria del presidente del consiglio Giuliano Amato di quell’anno, che ammontò a circa 100.000 miliardi di lire, nella nascita del progetto dell’Euro con gli accordi di Maastricht e con l’avvio della concertazione nel luglio del ’93. Infine, ma non ultima per importanza, arrivò la stagione di tangentopoli che non toccò direttamente e volutamente i sindacati confederali ma, più o meno, tutti i loro referenti partitici. Si determinarono in quegli anni una serie d’elementi e di fatti che conclusero la fase di transizione verso la completa collaborazione dei sindacati confederali e che fecero emergere, non solo a livello vertenziale e categoriale ma a livello generale, l’esigenza di dare vita ad un nuovo sindacato e, da altri punti di vista, di ricostruire quello che era stato nel passato il sindacalismo di classe.
Sempre in quegli anni, sul piano invece della nostra progettualità, continuavano i processi di maturazione sia per la crescita quantitativa, che si caratterizzava per uno sviluppo articolato, per categorie e territori, sia con la nascita della CUB. Questa, infatti, si formò dopo l’uscita dalla CISL di quella componente della sinistra sindacale, guidata da Piergiorgio Tiboni, che negli anni successivi al ’69 e all’autunno caldo aveva mantenuto un forte carattere conflittuale contro i padroni e spesso in contrasto con la stessa direzione nazionale della CISL. La nascita della CUB a gennaio del 1992 fu un passaggio storico che segnava una differenza qualitativa del sindacalismo indipendente e di base in Italia e che confermava definitivamente la scelta fatta alla fine degli anni 70, dopo la svolta dell’EUR. Insomma l’obiettivo che ci eravamo dati di fare non il quarto sindacato, come si diceva all’epoca, ma “Il sindacato” era stato raggiunto se non in termini quantitativi almeno in termini qualitativi e di potenzialità.
La prima verifica positiva di quella scelta si ebbe il 2 Ottobre del ’92 quando convocammo da soli la prima manifestazione nazionale della CUB che vide la partecipazione straordinaria ed inaspettata di 50.000 lavoratori dopo che alla mattina nelle manifestazioni dei confederali le forti contestazioni presero anche la forma del lancio dei bulloni contro il palco del comizio, a cui il servizio d’ordine dei confederali rispose picchiando chi era andato a contestare già prima che questi riuscissero ad arrivare in piazza San Giovanni.
I primi anni ’90 furono perciò determinanti per l’affermazione del sindacalismo di base più in generale e per la nascita ed il consolidamento della CUB. Dal ’92 prese il via un forte lavoro nelle categorie e nelle federazioni provinciali, che puntava alla crescita quantitativa del sindacato sia nel pubblico che nel privato arrivando a raggiungere nel Pubblico Impiego le cosiddette soglie di rappresentanza del 5%, stabilite all’epoca dalla legge del ministro Cirino Pomicino nei diversi comparti della pubblica amministrazione.
In quel periodo si cominciarono anche a vincere numerose cause con il riconoscimento alla CUB della “maggiore rappresentatività” stabilita dall’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori. Purtroppo parte di quei riconoscimenti furono persi a causa dell’esito del referendum promosso nel 1995 dalla sinistra sindacale della CGIL, “Essere Sindacato” guidata allora da Fausto Bertinotti, poi “assunto”nel ’94 quale segretario del PRC, che metteva sulla strada del riconoscimento dei diritti sindacali, ovviamente per chi non era di CGIL,CISL e UIL, la tagliola dell’obbligo della firma dei contratti che tante difficoltà, problemi e danni ha procurato all’affermazione delle strutture sindacali indipendenti.
La sfida della qualità
Mentre comunque cresceva la struttura sindacale, in quegli anni si è manifestata un’altra esigenza che nasceva dalla profonda trasformazione produttiva del nostro Paese, cominciata negli anni ’80 ma che in quel periodo subiva una forte accelerazione a causa degli sviluppi internazionali, dopo la crisi dei paesi dell’est. Tutto ciò si riversava direttamente sulla condizione dei lavoratori in tutti i suoi aspetti salariali, normativi, sui diritti etc.; in altre parole si poneva a noi la sfida della “Qualità” ovvero di interpretare la direzione dei processi in atto in modo da capire come avrebbero inciso e modificato il nostro lavoro e soprattutto la nostra struttura organizzata.
In questo senso si è aperta una fase di lavoro analitico in parallelo ma in rapporto stretto con il lavoro sindacale vero e proprio. Le tappe di questo processo di comprensione da parte di tutta l’organizzazione sono state diverse, consequenziali e connesse tra di loro. La prima è stata la Conferenza d’Organizzazione, tenuta a Castellammare di Stabia nel 1994, dove abbiamo messo a fuoco la tendenza alla precarizzazione. L’abbiamo messa in evidenza nel dibattito interno all’organizzazione sindacale tutta e soprattutto abbiamo cominciato ad attrezzarci per portare avanti esperienze di lotta che poi si sono concretizzate per la prima volta nella vertenza nazionale degli LSU.
La tappa successiva fu il 2° congresso nazionale delle RdB tenuto nel ’96 e titolato “Cogliere le trasformazione, Ridefinire il progetto” che mise in relazione le trasformazioni del mondo del lavoro con un rimodellamento delle RdB. Bisognava, infatti, uscire dall’insieme indistinto che avevamo costruito negli anni passati, coordinare il lavoro con il resto della CUB ed orientarlo verso tre direzioni ben precise che riguardavano: la Pubblica Amministrazione come settore portante, i grandi Servizi a Rete individuati come un punto di resistenza forte del lavoro stabile (trasporti, telecomunicazioni, energia etc.), la strutturazione territoriale dell’organizzazione sindacale individuata come prima risposta al processo di disgregazione, esternalizzazione e di individualizzazione dei lavoratori espulsi dai processi produttivi e di quelli ai quali non era permesso di accedere a lavori stabili.
Un ulteriore passaggio decisivo in questo senso è stata la della nostra capacità di comprensione dei processi sociali ed economici, nazionali ed internazionali. Questa attività ha espresso il punto più alto di elaborazione con l’analisi-inchiesta durata circa quattro anni e che si è conclusa con la pubblicazione di tre volumi, raccolti nel 2004 nell’antologia “La Coscienza di Cipputi” che ha sistematizzato e verificato il nostro punto di vista sulle modifiche strutturali nel mondo del lavoro, coinvolgendo una larga parte delle strutture sindacali nella attività di ricerca.
Un altro momento di manifestazione dell’internazionalismo della RdB, assieme alla CUB, è stato nel maggio del 1999 lo sciopero generale e la manifestazione nazionale contro la guerra in Jugoslavia, denunciando la volontà bellicista del Governo di centro-sinistra, presidente D’Alema, nel sostenere la necessità dei bombardamenti su Belgrado, sostegno dato anche da CGIL, CISL, UIL che considerano la guerra una dolorosa “contingente necessità”.
Anche il congresso del 2000, infine, si è misurato con il problema della qualità del nostro intervento affrontando la questione della soggettività dopo aver sviscerato, analizzato e discusso negli anni precedenti quella che possiamo definire l’analisi strutturale dei dati oggettivi. “Dalla subalternità ad una nuova Identità” è stato il titolo del 3° congresso in cui si è evidenziato che non basta il solo dato economico e dello sfruttamento della forza lavoro, comunque collocata e qualificata, a provocare una risposta conflittuale. E, infatti, anche necessario dare ai lavoratori dipendenti e subordinati un orizzonte più generale, in cui potersi riconoscere non solo sul piano della specifica rivendicazione economica ma anche su quello dei valori collettivi di giustizia ed equità sociale, di solidarietà e che soprattutto riconoscano l’organizzazione sindacale anche come strumento di emancipazione e di crescita generale per tutta la società.
“Avviso ai naviganti”
Nel leggere i passaggi che abbiamo presentato va tenuta presente un’avvertenza in quanto nello scrivere queste pagine si è tenuto conto di due elementi. Il primo è stato quello di fornire una sintesi dinamica delle fasi che abbiamo attraversato. L’altro è che la “linearità” che emerge dalla descrizione è dovuta alla necessità di tracciare un percorso, comprensibile a tutti, della nostra evoluzione e di far intravedere in ogni passaggio una progettualità, raggiunta talvolta individuando prima le scelte da compiere, altre volte invece emersa a posteriori dal rapporto con la realtà che rimane al centro del nostro fare politica e conflitto.
L’errore che non bisogna fare nel leggere queste pagine è scambiare la linearità descritta con un’altrettanto tranquilla linearità nella pratica di questi decenni di intensa attività; in realtà la costruzione del sindacato è passata non solo attraverso lo scontro, inevitabile, con le controparti ma anche dentro un confronto interno in alcuni casi anche molto duro, dovuto a punti di vista diversi che hanno portato in alcuni casi anche a rotture organizzative. Altre volte sono state alcune situazioni concrete che si sono determinate dentro l’organizzazione che sono entrate in conflitto con la linea generale del sindacato. In altre parole se la sintesi proposta rispecchia fedelmente il percorso compiuto, le verifiche ed i risultati, che possiamo definire indubbiamente positivi per tutto il movimento sindacale indipendente, va capito che tutto ciò è avvenuto dentro il conflitto sociale ed in determinati contesti politici che hanno causato, a loro volta, anche una forte dialettica interna sia nelle RdB che nella CUB.
Per capire la natura delle difficoltà che si sono prodotte in quella fase di passaggio degli anni ‘90 bisogna fare riferimento alle condizioni generali dei lavoratori sottoposti a continui processi di riorganizzazione produttiva e alle privatizzazioni dei grandi servizi e della pubblica amministrazione.
Questa modifica continua delle condizioni puntava a produrre divisione, isolamento ed individualismo nei posti di lavoro. Sappiamo bene che tutto ciò non è pura analisi sociologica ma il prodotto di una verifica continua condotta in tutti gli ambiti lavorativi. Questa tendenza disgregante non si è espressa solo a livello categoriale ma anche sul piano territoriale dove le differenti condizioni materiali fanno emergere anche differenti comportamenti.
In questo senso va ricordato in particolare proprio il congresso del 2000, quello in cui abbiamo messo al centro la questione della soggettività e dell’ identità, che ha appunto affrontato la crescente importanza della funzione dell’organizzazione sindacale come strumento di costruzione di identità collettiva e dunque capace di riassumere e ricomporre le diverse visioni e condizioni del mondo del lavoro.