Dalla rivoluzione d’ottobre alla conferenza di Bandung nel 1955
Autore: Rete dei Comunisti
Formato: 14,8 x 21
Pagine: 52
Prima edizione (digitale): maggio 2024
Disponibile in PDF formato A5 (1,2 Mb)
INDICE
- introduzione
- Il Comintern: anello di congiunzione tra la Occidente ed Oriente
- Il tradimento dell’Occidente e l’eco della Rivoluzione d’Ottobre nel mondo arabo
- La teoria dell’imperialismo in mano ai popoli
- 1920, i comunisti guardano a Oriente
- Comunisti e “nazionalismo” nelle colonie e semi-colonie
- La formazione dei partiti comunisti nel mondo arabo e il problema “etnico/linguistico”
- Comunisti e panarabismo
- Gli anni ’30: le conseguenze dei Fronti Popolari nel mondo arabo
- Il Partito Comunista Francese in Algeria, un caso isolato
- Repressione e agibilità politica dei comunisti negli Anni ’40 e ‘50
- In conclusione
INTRODUZIONE
Nel mondo multipolare a geometrie variabili, lo scontro interno al capitale mondiale si sta oggi concretizzando nella minaccia reale di un conflitto su scala globale, una specie di “guerra senza limiti” dove i vari attori si combattono dove possono e come possono.
In questo contesto la deterrenza atomica reciproca non fa precipitare il conflitto ma marcire le relazioni internazionali mentre la guerra guerreggiata diviene sempre più la forma che assume la competizione tra blocchi nelle numerose linee di faglia che attraversano il pianeta.
Questa dinamica sviluppa inediti processi di accelerazione e “precipitati politici” di difficile previsione all’interno del quadro della crisi sistemica del Modo di Produzione Capitalistico.
Finita la fase dello stallo tra blocchi è iniziata quella dell’incessante scontro che porta alla modifica di equilibri che sembravano consolidati ed al riaccendersi di conflitti che si pensava fossero congelati senza che sia giunti sostanzialmente ad un equilibrio.
Non solo abbiamo visto riaccendersi contesti che erano retaggi di insolute situazioni coloniali: Palestina, Nuova Caledonia e DOM TOM francesi in genere, Saharawi (Sahara Occidentale), ma anche frozen conflicts come quello russo-ucraino in Donbass o armeno-azero e non sono mancati tentativi di colpi di stato, come in Corea del Sud, abortite rivoluzioni “colorate”, come in Georgia, o il misconoscimento di processi elettorali quando davano risultati non conformi ai desiderata occidentali: dalle elezioni presidenziali in Venezuela a quelle in Romania.
In questo contesto il quadrante medio-orientale è paradigmatico, con l’Occidente che trova in Israele – insieme alle composite forze jihadiste – il maggiore vettore della tendenza alla guerra e alla destabilizzazione dell’intera regione, in cui agiscono forze ed attori regionali con alleanze a “geometria variabile” che perseguono i propri fini specifici che a volte si sovrappongono, tal altre collimano, oppure si scontrano con gli interessi imperialistici nell’area, contribuendo a cambiare i rapporti di forza nel bilancio di potenze mondiali e regionali.
In questo quadro, l’ascesa di nuovi attori che pesano sulla bilancia geopolitica si impone come realtà in faccia alla crisi ormai affermata dell’unipolarismo occidentale, rappresentando un’alternativa al destino tracciato da Stati Uniti e UE, cioè dal blocco euro-atlantico, in una dinamica di avanzamento/arretramento assolutamente non lineare dove non sembrano esserci margini per una stabilizzazione sia delle vecchie “rendite di posizione” che delle nuove aree di influenza che sembravano essere state conquistate dalla Russia post-sovietica che dalla Cina Popolare.
Come belve ferite ma non meno pericolose, le potenze occidentali alimentano la guerra imperialista in quanto ultimo ancoraggio per riaffermare il loro dominio nel quadro di una sempre maggiore frammentazione del mercato mondiale, figlia della crisi del MPC.
In questo contesto, i comunisti con una prospettiva internazionalista che oggi operano in maniera organizzata dentro il conflitto di classe nel cuore della “cittadella imperialista”, sono chiamati a rivolgere il loro sguardo anche al di fuori di quella che era la gabbia dorata dell’Occidente, e a ritroso, interrogandosi sul movimento comunista del Novecento ed i suoi sviluppi nel popoli del Tricontinente.
È con queste premesse che riteniamo necessario dotarsi degli strumenti per analizzare e comprendere quelle “storie anomale” dei popoli che da secoli vivono sulla propria pelle le contraddizioni imperialiste nella loro forma più violenta e le loro relazioni con il movimento comunista internazionale ed il “campo socialista”, grazie ai quali hanno trovato per la prima volta nella Storia un riferimento al loro secolare anelito di liberazione che non li tradisse, li conducesse alla disfatta o li indirizzasse verso astoriche utopie regressive. Ancora oggi queste popolazioni sono al centro della dinamica di un conflitto contro il sionismo che assume oggettivamente caratteristiche anti-imperialiste e che mina la tenuta dei piani euro-atlantici nella zona, ma che stentano a trovare un orizzonte unitario, una ideologia condivisa e realtà statuali capaci di essere il “retroterra strategico” per un ipotesi di emancipazione dal sionismo e dai regimi reazionari.
Se guardiamo al movimento comunista del Novecento fuori dalla deviante lente eurocentrica, possiamo affermare con evidenza matematica che il comunismo, per certi versi, è stato “più fuori che dentro” l’Occidente. URSS, Cina, Corea del Nord, Vietnam, Laos, Cambogia, Afghanistan, Cuba, Nicaragua, Mozambico, Angola, Etiopia (Derg), Yemen sono stati teatro di esperimenti più o meno duraturi, più o meno fortunati, di socialismo possibile ed hanno costituito l’indispensabile retroterra per lo sviluppo della lotta di classe in Occidente e l’affermazione di movimenti e organizzazioni comuniste “di massa” in Italia ed in Francia dopo la Seconda Guerra Mondiale fino agli Anni Ottanta, così nella Penisola Iberica ed in Grecia dopo la cadute dei regimi fascisti dei rispettivi paesi.
È solo all’interno di questa dialettica ed interdipendenza tra “centro” e per così dire “periferia integrata” che può essere compresa resa nuovamente attuale la questione della Rivoluzione in Occidente che ancora oggi si combina necessariamente con il riscatto di quei popoli che stanno definendo una propria traiettoria di emancipazione dal giogo euro-atlantico verso un effettivo policentrismo.
Ma anche laddove il socialismo non è arrivato alla prova del governo conquistando il potere da solo o partecipando ad esperienze progressiste, le idee comuniste, e in particolare la teoria marxista-leninista, sono state una forza dilagante e feconda, che nei paesi del Sud globale ha fornito (ed offre) ai popoli gli strumenti necessari – teorici ed organizzativi – per liberarsi dalla schiavitù coloniale/neo-coloniale e imperialista, o almeno per tentare la via della liberazione.
Possiamo dire che al di là del revisionismo storico imperante, nel Novecento il fiume di sangue non l’avevano prodotto i comunisti, ma l’avevano versato anche nella lotta di liberazione dei popoli arabi, e che l’Unione Sovietica ed in generale il “campo socialista” ed il movimento comunista internazionale furono alleati indispensabili ed influenzarono a fondo il corso politico politico arabo oltre ad alimentare gli incubi di satrapie corrotte e teocrazie controrivoluzionarie.
Già dagli inizi del Novecento, la paternità politica leniniana della categoria di imperialismo nella sua corretta interpretazione, e soprattutto nelle sue conseguenze politiche, pone i comunisti al centro di quello che sarebbe stato il movimento globale dei popoli verso l’indipendenza lungo tutta la prima metà del secolo, e oltre.
Movimento globale che ora si ripropone in forme mutate in assenza di un campo socialista propriamente detto ma dentro la configurazione di un mondo sempre più multipolare e multicentrico, e che vede il riesplodere delle contraddizioni in forme piuttosto inedite anche nel cuore del capitalismo occidentale dove agiscono comunque organizzazioni comuniste, come la nostra, che cercando di incidere concretamente nella realtà in cui operano con lo sguardo attento a ciò che si sviluppa oltre i propri confini nazionali e continentali.
È soprattutto a partire dagli anni che seguono la Rivoluzione bolscevica che le idee comuniste dilagano a oriente grazie all’incessante attività della Terza Internazionale, la quale, in netta rottura con le posizioni scioviniste della Seconda Internazionale, inizia a adoperarsi per la riuscita della “rivoluzione anticoloniale” a cui il movimento comunista internazionale si deve votare ed i singoli Partiti Comunisti devono adoperarsi nel processo di “bolscevizzazione” che diede risultati importanti.
Il caso della regione araba, in particolare, che qui analizziamo è paradigmatico per quanto riguarda le sfide incontrate dai comunisti in un contesto lontano da quello europeo – senza nuclei di proletariato industriale, organizzazioni sindacali anche embrionali e raggruppamenti “socialisti” – marcato da un lato da tradizioni culturali e religiose differenti, da composizioni sociali spesso tribali e organizzazioni economiche “arretrate” e rurali, in sintesi da rapporti sociali capitalistici non ancora pienamente sviluppati e da uno sfruttamento imperialista che si stava affermando con forza (anche attraverso il sionismo), e dall’altro dalla presenza di nuove forze politiche di massa che emergevano in risposta all’oppressione coloniale, primo tra tutti il movimento nazionalista nelle sue varie articolazioni ed i movimenti religiosi che agitavano “la spada dell’Islam” contro l’Occidente.
Senza la pretesa di esaurire il discorso o di dare una lettura lineare su quella che è stata la complessa parabola storica del movimento comunista nel mondo arabo, questo opuscolo mira piuttosto a individuare i passaggi cruciali della storia del primo comunismo arabo, in quanto parte di quella cospicua eredità che, da una parte all’altra del mondo, ci permette ancora oggi di ragionare, attenti alle problematiche di ieri, sul solco di chi ha tracciato la strada prima di noi.
Due avvenimenti periodizzanti della metà degli Anni Cinquanta segnano quel quadrante: l’inizio della lotta di liberazione algerina condotta dal FLN con la prima azione il Primo Novembre del 1954 ed il fallimentare intervento anglo-francese in Egitto dopo la nazionalizzazione del Canale di Suez da parte di Nasser che costituiscono un po’ gli epigoni temporali della nostra indagine..
Questo pamphlet intreccia – ed in parte ripercorre – i temi sviluppati nelle prime due sessioni del forum “Elogio del Comunismo del Novecento”, tenutosi a Roma il 4-5-6 ottobre del 2024 ed organizzato dalla Rete dei Comunisti ed i nodi contenuti nei primi due e-book della RdC: “La resistenza del popolo palestinese in una prospettiva storica” e “Testi della Rivoluzione Palestinese”.
Esso vuole contribuire ad una maggiore coscienza della funzione – nei limiti e nei meriti – che nel periodo qui compreso il movimento comunista ha svolto nella lotta del mondo arabo. Un decennio dopo la fine del periodo temporale qui trattato sorse in Yemen la prima, ed unica, esperienza di socialismo reale nel mondo arabo, la Repubblica democratica popolare dello Yemen che sviluppa una forma originale di socialismo arabo che tratteremo nel dettaglio in un successivo approfondimento.