Rete Dei Comunisti
In occasione della ricorrenza della nascita di Lenin, a 155 anni dal 22 aprile 1970, cogliamo l’occasione per rendere omaggio al rivoluzionario che tentò l’assalto al cielo portando alla vittoria la Rivoluzione bolscevica che realizzò la prima esperienza di socialismo reale della storia.
A testimonianza dell’attualità di Lenin, scegliamo di approfondire la “paternità leniniana” dell’anticolonialismo bolscevico, ricostruendo per sommi capi il processo di elaborazione teorica sulla questione nazionale e coloniale, dagli inizi del 1900 fino agli anni immediatamente successivi alla rivoluzione. È in questi anni, infatti, che Lenin sviluppa quelle coordinate teoriche che forniranno da bussola per tutto il movimento comunista internazionale nel suo complesso, lungo tutto il corso del Novecento, fino ancora ad oggi.
Su quest’aspetto rimandiamo alla prima sessione del forum organizzato dalla Rete dei comunisti: “Elogio del Comunismo del Novecento”, svoltosi a Roma, il 4-5-6 ottobre 2024, di cui è disponibile la registrazione audio-video degli interventi, nonché la pubblicazione cartacea degli atti che è in corso di presentazione in differenti città italiane.
Di fronte all’attacco sistematico dell’Occidente imperialista nei paesi del Sud globale, di fronte al genocidio in Palestina e all’escalation bellica promossa dall’Unione Europea, l’eredità teorica leniniana, che allora costituiva l’unico argine alla Prima guerra mondiale, torna oggi materia viva con cui affrontare le sfide del presente.
Nel contesto di generalizzato imbarbarimento culturale dell’Occidente è facile rimanere subalterni alla narrazione storica dominante, che vorrebbe lasciarci un’immagine revisionista e mutilata del rivoluzionario russo – quella di un dirigente dogmatico. Ritornare sulle parole di Lenin ci permette di ricostruire un’immagine, seppur parziale, del suo profilo di comunista e della sua intelligenza umana e rivoluzionaria.
La rivoluzione del 1905 e i prodromi della riflessione leniniana sulla rivoluzione anticoloniale
Nei primi anni del 1900, seguendo con interesse le vicende dei “popoli d’oriente”, Lenin iniziò a ragionare sulla necessità di una rivoluzione anticoloniale che si rivoltasse contro i centri imperiali europei, e contro lo stesso impero zarista.
Alcuni eventi contribuirono a spostare l’attenzione di Lenin verso est e allo sviluppo di un ragionamento sull’autodeterminazione dei popoli: l’espansione zarista aveva condotto, nel 1900, all’occupazione della Manciuria durante la crisi dei Boxer in Cina, e successivamente, tra il 1904 e il 1905, allo scontro diretto con il Giappone nella guerra russo-giapponese, combattuta in Manciuria e Corea.
Nel 1902, in Che fare?, Lenin osservava come la storia avesse posto la classe operaia russa davanti al compito di abbattere non solo la principale roccaforte della reazione in Europa, ma anche quella in Asia.
L’anno successivo, la rivoluzione del 1905 segnò un passaggio importante, ottenendo un’eco profondo in paesi come Persia, Turchia, India, Cina e le Indie orientali olandesi, teatro, in quegli anni, di mobilitazioni che esprimevano l’insofferenza per anni di oppressione da parte delle potenze europee, come la Gran Bretagna, e dei secolari imperi del pre-guerra, l’impero ottomano e quello zarista.
Nel 1925, Mihail P. Pavlovich (1871-1927), figura di spicco dell’Istituto di Studi d’Oriente e dell’Associazione di Studi Orientali di Mosca, scriveva The Revolution of 1905 and the East, sottolineando il ruolo dei moti nei paesi dell’Est per lo sviluppo della teoria leniniana sull’alleanza tra proletariato europeo e masse colonizzate:
«Queste due potenti correnti del movimento rivoluzionario tra le masse proletarie della Russia e le masse contadine dell’Est sono state senza dubbio i fattori che stavano alla base della brillante teoria di Lenin sulla necessità della creazione di un fronte unico del proletariato industriale degli Stati industriali avanzati con le masse schiavizzate dei paesi coloniali e semicoloniali per la lotta contro il capitalismo.»[1]
Negli anni precedenti la Prima guerra mondiale, Lenin tornò più volte a riflettere sull’importanza del 1905 e sul “risveglio dell’Asia”, e il 7 maggio 1913, scriveva sulla Pravda:
«Il capitalismo mondiale e il movimento del 1905 in Russia hanno finalmente risvegliato l’Asia. Centinaia di milioni di oppressi e ottenebrati si sono risvegliati dalla stagnazione medievale a un nuovo piffero e si stanno sollevando per lottare per i diritti umani elementari e la democrazia. Gli operai dei paesi avanzati seguono con interesse e ispirazione questa potente crescita del movimento di liberazione, in tutte le sue varie forme, in ogni parte del mondo. La borghesia d’Europa, temendo la potenza del movimento operaio, cerca l’aiuto delle forze della reazione, del militarismo, del clericalismo e dell’oscurantismo. Ma il proletariato dei paesi europei e la giovane democrazia dell’Asia, pienamente fiduciosi nella sua forza e con una fede incrollabile nelle masse, avanzano per prendere il posto di questa borghesia decadente e moribonda. Il risveglio dell’Asia e l’inizio della lotta per il potere da parte del proletariato avanzato d’Europa sono un simbolo di una nuova fase della storia mondiale che è iniziata all’inizio di questo secolo.»[2]
La lotta del 1905 aveva dunque dato un impulso alla lotta popolare in Asia, ma la sconfitta del 1905 in Russia fornì l’occasione per una controffensiva generalizzata dell’imperialismo mondiale. I popoli dell’Asia si trovavano ora sotto attacco sia dal fianco delle potenze occidentali che dalle retrovie della Russia zarista: la nascente Persia venne attaccata dalla Russia e dalla Gran Bretagna e divisa in sfere di influenza con la convenzione Anglo-Russa, e la vittoria di Sun Yat-sen e della Repubblica cinese nel 1911 fu seguita pochi mesi dopo dal colpo di stato di Yuan Shih-kai.
Ancora nel 1912, Lenin scriverà in numerose occasioni dei «popoli dell’Asia», come la Persia e la Mongolia, che «conducono una lotta rivoluzionaria per la libertà», e spingerà il suo partito a condannare gli attacchi imperialisti zaristi contro la Persia e a sostenere la « lotta rivoluzionaria del popolo cinese, che sta portando l’emancipazione in Asia e sta minando il dominio della borghesia europea.»[3]
Per tutto il 1913 Lenin insistette sul grande significato di questa ondata rivoluzionaria in Asia, questa “era di tempeste”, come la chiamava lui, e nel marzo 1913, a proposito degli eventi cinesi:
«Qualunque sia la sorte della grande Repubblica Cinese, contro la quale le varie iene ‘civilizzate’ stanno ora digrignando i denti, nessuna potenza al mondo può restaurare l’antica servitù della gleba in Asia, o spazzare via l’eroica democrazia delle masse popolari nei paesi asiatici e semi-asiatici»[4].
Gli scritti 1914-1916
Nel 1914, lo scoppio della Prima guerra mondiale segna la fine di una fase di generalizzato ottimismo nel progresso portato dal rapido sviluppo industriale delle potenze europee, mostrano il vero volto dei paesi a capitalismo avanzato. In questa faglia aperta si inserisce la propaganda rivoluzionaria di Lenin, che si oppone alla guerra già nel 1914, mentre i più grandi partiti socialisti d’Europa votavano i crediti di guerra portando al fallimento della II internazionale.
A fianco della denuncia dello sciovinismo socialdemocratico e della guerra, in questi anni Lenin pubblicò una lunga serie di articoli sul tema dell’autodeterminazione nazionale nella rivista Prosveshcheniye (Illuminismo). Inizialmente, Lenin prese parola sulla questione per rispondere a una posizione assunta da Rosa Luxemburg nel 1908-09, in un articolo intitolato “La questione nazionale e l’autonomia”, pubblicato su Przeglad Sozialdemokratyczny (Panorama socialdemocrazia).
La Luxemburg sosteneva l’interesse eminentemente borghese e il ruolo antirivoluzionario della nazione, utile per costruire economie nazionali e sistemi politici nazionali che avvantaggiano il dominio di classe della borghesia. Lenin condivideva l’idea che il potere di classe della borghesia fosse esercitato nel modo più efficiente attraverso il contenitore nazionale:
«La base economica dei movimenti (nazionalisti) è il fatto che per ottenere la vittoria completa della produzione di merci la borghesia deve conquistare il mercato interno, deve avere territori politicamente uniti con una popolazione che parla la stessa lingua, e tutti gli ostacoli allo sviluppo di questa lingua e al suo consolidamento nella letteratura devono essere rimossi.»[5]
Tuttavia, secondo Lenin, l’approccio della Luxemburg riduceva la questione nazionale all’economia e all’indipendenza economica, trascurando la questione politica. In questo senso, Lenin guarda per la prima volta con lucido ed empatico interesse alla fame di libertà dei popoli che erano stati colonizzati, e a coglierne il potenziale rivoluzionario. È così che arriva ad operare la distinzione tra il nazionalismo degli oppressori (come quello dei “Grandi Russi” e dei britannici) e il nazionalismo degli oppressi (come i polacchi e gli irlandesi).
Il nazionalismo dell’oppressore deve essere sempre combattuto, poiché il suo sciovinismo lo porta alla conquista del mondo, una dinamica che non solo distrugge il benessere degli oppressi, ma corrompe anche la sua stessa classe operaia.
«Il nazionalismo borghese di ogni nazione oppressa», invece, «ha un contenuto democratico generale che si dirige contro l’oppressione, ed è questo contenuto che noi sosteniamo incondizionatamente.»[6]
A differenza di molti altri marxisti – come Karl Radek e Leon Trotsky – Lenin sostenne pienamente la Rivolta di Pasqua nell’Irlanda occupata dagli inglesi nel 1916. Fu in questo contesto che Lenin scrisse, nel luglio 1916:
«La dialettica della storia è tale che le piccole nazioni, impotenti come fattore indipendente nella lotta contro l’imperialismo, svolgono un ruolo come uno dei fermenti, uno dei bacilli, che aiutano la vera forza antimperialista, il proletariato socialista, a fare la sua comparsa sulla scena.»[7]
Progressivamente, Lenin iniziò a concettualizzare un’unità strategica tra il nazionalismo degli oppressi e il proletariato negli stati imperialisti, e le lotte di liberazione nazionale non vennero più concepite come semplici “bacilli”, ma diventavano alleate fondamentali del proletariato in una lotta globale contro il capitalismo imperialista.
«La rivoluzione sociale», scriveva nell’ottobre 1916, «non può avvenire se non sotto forma di un’epoca in cui si combinino la guerra civile del proletariato contro la borghesia dei paesi avanzati e tutta una serie di movimenti democratici e rivoluzionari, compresi i movimenti di liberazione nazionale nei paesi sottosviluppati, arretrati e oppressi».[8]
Nel marzo 1916, Lenin scrisse le “Nove tesi sull’autodeterminazione delle nazioni”, sempre all’interno del dibattito aperto con la sinistra europea sull’imperialismo, la questione nazionale e la guerra mondiale. Attingendo dagli scritti di Marx all’Irlanda, affermava:
«la richiesta del diritto di secessione per il bene della divisione e dell’isolamento dei paesi non è un fine in sé; si tratta di un processo per creare legami più duraturi e democratici.»[9]
E ancora,
«solo in questo modo Marx poteva sostenere – in contraddizione con gli apologeti del capitale che gridano che la libertà delle piccole nazioni di separarsi è utopica e impraticabile e che non solo la concentrazione economica ma anche quella politica è progressiva – che questa concentrazione è progressiva quando non è imperialista, e che le nazioni non devono essere riunite con la forza, ma da una libera unione dei proletari di tutti i paesi»[10].
Il biennio 1914-1916 rappresentò dunque una fase importante per l’elaborazione di Lenin su nazione e colonialismo, che a partire dalla Rivoluzione d’ottobre verrà sistematizzata e messa in pratica dai partiti aderenti alla Terza Internazionale (1919). La maggior parte di questi scritti, per lo più in tedesco, furono tradotti in russo negli anni ’20 da N. K. Krupskaya e pubblicati nei volumi della Miscellanea di Lenin. Nel 1967, la casa editrice Progress di Mosca raccolse questi saggi in un piccolo libro dal titolo “‘The Right of Nations to Self-Determination”, disponibile nel volume 20 dei Collected Works di Lenin.
La rivoluzione
La vittoria degli operai russi nel 1917 aprì una nuova fase di offensiva da parte dei movimenti di liberazione nazionale, dopo la “prova generale” del 1905. La Rivoluzione d’Ottobre, scriveva Ho Chi Minh:
“ha spezzato le catene dell’imperialismo, distrutto le sue fondamenta e inflitto un colpo mortale. Come un fulmine, ha risvegliato i popoli asiatici dal loro sonno secolare. Ha aperto per loro l’era rivoluzionaria antimperialista, l’era della liberazione nazionale”.[11]
La formulazione di Lenin dal 1914 al 1916 permise una posizione chiara nella pratica dopo la rivoluzione bolscevica. In più, la pubblicazione nel 1917 di Imperialismo, fase suprema del capitalismo, coronò il ragionamento sulla questione coloniale avviato negli anni della Prima guerra mondiale, articolando anche su un piano economico la comprensione del fenomeno coloniale, e diventando da subito faro per i rivoluzionari di tutto il mondo.
Due questioni si imponevano a questo punto nella realtà:
- Come dovrebbe affrontare il nuovo Stato sovietico la questione delle proprie nazionalità?
- In che modo la neonata Internazionale Comunista avrebbe dovuto affrontare i movimenti nazionalisti nelle colonie?
1. La Rivoluzione russa per l’autodeterminazione dei popoli
All’alba della rivoluzione, il nascente stato rivoluzionario riconobbe l’indipendenza della Finlandia (dicembre 1917), della Polonia (agosto 1918), dell’Afghanistan (1919), della Turchia nel (1920) e della Mongolia nel (1921). Concluse trattati basati sull’uguaglianza e sul rispetto degli interessi reciproci con la Persia (26 febbraio 1921), con l’Afghanistan (28 febbraio 1921) e con la Turchia (16 marzo 1921); e rinunciò apertamente alle concessioni che il governo zarista aveva imposto ad altri Stati, come nel caso della Persia e della Cina.
Benché si trovasse a fronteggiare gravi problemi economici e lo scoppio di una guerra civile sostenuta dalle potenze imperialiste ostili, diede aiuto diretto ai popoli impegnati in lotte militari contro la reazione interna e straniera, inviando sostegni militari a Sun Yat-sen in Cina e Kemel Ataturk in Turchia, nonché truppe per assistere il popolo della Mongolia nella sua lotta contro l’imperialismo straniero.
La pubblicazione sovietica dei trattati segreti del governo zarista, e in particolare dei documenti Sykes-Picot che denunciavano gli intrighi anglo-francesi sulla Palestina e sul Medio Oriente, minarono ulteriormente il prestigio e le posizioni delle potenze coloniali.
Lenin, in qualità di Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, e Stalin, in qualità di Commissario del Popolo per gli Affari delle Nazionalità, pubblicarono il loro storico Messaggio a tutti i Musulmani Lavoratori della Russia e dell’Est (3 dicembre 1917):
«Musulmani di Russia, Tartari del Paese del Volga e della Crimea, Kirghizzati e Sarti della Siberia e del Turkestan, Turchi e Tartari della Transcaucasia, Ceceni e Highlanders del Caucaso, tutti coloro le cui moschee e templi sono stati distrutti, la cui fede e i cui costumi sono stati calpestati dagli zar e dagli oppressori della Russia! D’ora in poi le vostre fedi e i vostri costumi, le vostre istituzioni nazionali e culturali sono dichiarate libere e inviolabili. Organizzate la vostra vita nazionale liberamente e senza ostacoli. Avete il diritto di farlo. Sappiate che i vostri diritti, come quelli di tutti gli altri popoli della Russia, sono protetti dalla forza della rivoluzione e dei suoi organi, i Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini.»[12]
Questa attività e questa politica della Russia rivoluzionaria, condotte sotto la guida diretta di Lenin, ebbero una profonda influenza sui movimenti di liberazione nazionale in tutto il mondo, come dimostrano le grandi insurrezioni nazionali che hanno avuto luogo negli anni immediatamente successivi al 1917 in India (Movimento di Non Cooperazione, 1920–1922), guidato da Mahatma Gandhi), Cina (Movimento del 4 maggio, 1919, e Fondazione del Partito Comunista Cinese, 1921), Corea (Movimento del 1º marzo, 1919), Mongolia (Rivoluzione Mongola, 1921; con l’assistenza dell’Armata Rossa sovietica, la Mongolia ottenne l’indipendenza dalla Cina e instaurò un governo socialista), e Medio Oriente (rivoluzione egiziana, 1919; rivolte siriane 1925-27).
2. Il II° congresso dell’Internazionale e il congresso di Baku (1920)
L’approccio fondamentale di Lenin sulla questione nazionale e coloniale fu chiarito nel Progetto preliminare delle Tesi sulla questione nazionale e coloniale preparato per il II Congresso dell’Internazionale Comunista, che riassumeva i principi articolati da Lenin nei suoi scritti dal 1914, e rielaborati nella Costituzione sovietica e dal II congresso del Comintern.
In sintesi, si trattava di operare una distinzione tra nazione oppresse e oppressive, e che fosse necessario instaurare alleanze temporanee con i movimenti democratico-borghesi nei paesi coloniali e “arretrati” solo a condizione che i partiti del Comintern mantenessero «incondizionatamente il carattere indipendente del movimento proletario, anche se solo in embrione.»[13]
Su questa scia venne concepita l’ottava condizione di adesione al Comintern, approvata dal II° congresso, che sanciva il sostegno dei comunisti alla lotta anticoloniale, affermando che:
«ogni partito che voglia aderire all’Internazionale Comunista è tenuto a smascherare i trucchi e gli inganni dei “propri” imperialisti nelle colonie, ad appoggiare non solo a parole ma con i fatti ogni movimento di liberazione nelle colonie, ad esigere che i propri imperialisti vengano espulsi da tali colonie, ad instillare nei lavoratori del proprio paese un atteggiamento di autentica fratellanza nei confronti dei lavoratori delle colonie e dei popoli oppressi, e a fare sistematicamente opera d’agitazione tra le truppe del proprio paese perché non collaborino all’oppressione dei popoli coloniali.»
Nel suo discorso al II congresso panrusso delle organizzazioni comuniste dell’Est (22 novembre 1919), Lenin si rivolse così ai delegati:
«Vi trovate di fronte a un compito che finora non si è presentato ai comunisti in nessuna parte del mondo: basandovi sulla teoria e sulla pratica generale del comunismo, dovete adattarvi alle condizioni particolari che non esistono nei paesi europei ed essere in grado di applicare questa teoria. La pratica è in condizioni in cui la maggior parte della popolazione è contadina e in cui il compito è quello di condurre una lotta non contro il capitalismo, ma contro le sopravvivenze medievali. Si tratta di un compito difficile e unico, ma molto grato, perché vengono trascinate nella lotta quelle masse che finora non vi hanno preso parte e, d’altra parte, perché l’organizzazione delle unità comuniste all’Est vi dà l’opportunità di mantenere il contatto più stretto con la Terza Internazionale. Bisogna trovare forme specifiche per questa alleanza dei primi proletari del mondo con le masse lavoratrici e sfruttate dell’Est, le cui condizioni sono in molti casi medievali».
Un anno dopo, a seguito del II congresso del Comintern, il congresso di Baku, presieduto da Zinoviev, accolse più di duemila partecipanti provenienti da trentasette popolazioni nell’autunno 1920, rappresentando il risultato della priorità assunta dalla rivoluzione antimperialista per i comunisti della Terza Internazionale.
Fino alla fine della sua vita, Lenin attribuì la massima importanza alla lotta di liberazione nazionale e al suo impatto sulla lotta rivoluzionaria mondiale contro il capitalismo. Nel suo rapporto al III Congresso dell’Internazionale Comunista (5 giugno 1921), egli elogiò «i milioni e le centinaia di milioni, in realtà la stragrande maggioranza della popolazione mondiale» che agivano come «un fattore rivoluzionario indipendente e attivo». E proseguì dichiarando che «dovrebbe essere perfettamente chiaro che nelle prossime battaglie decisive della rivoluzione mondiale, questo movimento della maggioranza della popolazione mondiale, originariamente finalizzato alla liberazione nazionale, si rivolterà contro il capitalismo e l’imperialismo e, forse, giocherà un ruolo molto più rivoluzionario di quanto siamo stati indotti ad aspettarci».
Un anno dopo, scrivendo in occasione del decimo anniversario della Pravda, sottolineava che centinaia di milioni di persone erano state trascinate nella lotta rivoluzionaria mondiale e avevano iniziato un movimento “che nemmeno le potenze ‘più potenti’ possono arginare. Non hanno alcuna possibilità”[14]. E ancora, in uno dei suoi ultimi articoli (“Meglio meno, ma meglio”, Pravda, 4 marzo 1923), scriveva che i popoli coloniali e oppressi erano «stati definitivamente trascinati nel vortice generale del movimento rivoluzionario mondiale» e che di conseguenza «In ultima analisi, l’esito della lotta sarà determinato dal fatto che la Russia, l’India, la Cina, ecc., rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione del globo», e quindi «la completa vittoria del socialismo è pienamente e assolutamente assicurata.»
È così che il leninismo è diventato il cuore del pensiero politico dei più grandi rivoluzionari dei paesi ex coloniali, da Ho Chi Minh a Fidel Castro, riuscendo a calare nella realtà i principi marxisti, liberandoli dal guscio ideologico della filosofia astratta. Ancora oggi in quelle zone “periferiche” del Sud Globale, dove la rivoluzione ha avuto successo, Lenin e le sue idee continuano a vivere nelle quotidiane lotte per la pace, la libertà e la giustizia sociale.
NOTE
[1] ↑ Pavlovitch, M. The Revolution of 1905 and the East, Moscow, 1925.
[2] ↑ articolo pubblicato su Pravda il 7 maggio 1913, in Opere Complete, vol. 19, Editori Riuniti
[3] ↑ Lenin, gennaio 1912, in Opere Complete, vol. 17, Editori Riuniti.
[4] ↑ Pravda, 1° marzo 1913, in Opere Complete, Editori Riuniti.
[5] ↑ Lenin, Il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, in Opere Complete, vol. 20, Editori Riuniti.
[6] ↑ Lenin, Il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, in Opere Complete, vol. 20, Editori Riuniti.
[7] ↑ Lenin, Riepilogo della discussione sull’autodeterminazione, in Opere Complete, vol. 22, Editori Riuniti.
[8] ↑ Lenin, Una caricatura del marxismo e l’economicismo imperialista, in Opere Complete, vol. 23, Editori Riuniti.
[9] ↑ Lenin, La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodeterminazione: Tesi, in Opere Complete, vol. 22, Editori Riuniti.
[10] ↑ Lenin, La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodeterminazione: Tesi, in Opere Complete, vol. 22, Editori Riuniti.
[11] ↑ Ho Chi Minh, Selected Works, vol. 4, Hanoi, 1962 [Opere Scelte, vol. 4, Hanoi, 1962].
[12] ↑ Milestones of Soviet Foreign Policy, 1917–1967, Progress Publishers, Mosca, 1967, pp. 33–35 [Pietre miliari della politica estera sovietica, 1917–1967]. Pubblicato a Mosca nel 1967, è una raccolta di 75 documenti ufficiali e trattati che delineano la politica estera dell’Unione Sovietica.
[13] ↑ Lenin, Tesi sulla questione nazionale e coloniale, in Opere Complete, vol. 31, Editori Riuniti.
[14] ↑ Pravda, marzo, 1922, in Opere Complete, vol. 33, Editori Riuniti.
CREDITS
Immagine in evidenza: V. I. Lenin a Razliv nel 1917
Autore: Arkady Rylov, 1934.
Licenza: Pubblic Domain
Immagine originale ridimensionata e ritagliata