DOMANDA: Domenica 26 maggio si voterà, nei vari paesi dell’Unione Europea, per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. Come al solito i temi ed il, conseguente, chiacchiericcio della campagna elettorale, specie nel nostro paese, sono tutti schiacciati sulle polemiche tra questo o quel “leader” o sul mero posizionamento delle varie forze politiche. Manca – da parte di tutti gli attori – una analisi dello “stato dell’Unione”. Anzi, con il procedere degli avvenimenti, anche coloro i quali venivano, o sono ancora, definiti “sovranisti” si vanno scoprendo “europeisti anche se con qualche se o qualche ma”. Come collochi questo step elettorale nel processo di costruzione e ridefinizione del polo imperialista europeo particolarmente ora che – sul proscenio globale – si accentuano i fattori di competizione globale tra potenze e blocchi monetari?
Come tutti sanno il parlamento europeo non ha poteri effettivi che sono delegati invece alla Commissione cioè ai rappresentanti dei governi dei singoli Stati. Per avere una idea esatta dello “Stato dell’Unione” bisogna fare riferimento ai dati strutturali che stanno emergendo sempre più nettamente. Ad esempio si parla non più solo di favorire la concorrenza tra le imprese ma dei campioni europei, cioè delle multinazionali che vanno supportate per sostenere la competizione globale con USA, Cina, Russia ed altri poli economico-finanziari. Oppure possiamo vedere come il processo di integrazione militare europeo, a prescindere dalla NATO, sta procedendo anche in funzione del controllo dei paesi dell’Africa del Nord, questo terreno anche di competizione interna alla UE come stanno a dimostrare le vicende libiche. Sul piano strettamente politico ci sono segnali di rafforzamento della UE, uno è la riunione di Aquisgrana fatta in modo unitario dai parlamenti di Francia e Germania, che sottolinea qual’ è il vero architrave dell’attuale UE, e l’altro, ancora più significativo, l’impotenza dell’Inghilterra che non è stata ancora in grado di staccarsi dalla UE nonostante l’esito referendario sulla Brexit e la lunga storia imperialistica di quel paese.
DOMANDA: Nei mesi scorsi la Rete dei Comunisti ha articolato, in numerose città, una campagna denominata “L’unità della Sinistra? Falso problema!”. La RdC ha discusso con militanti comunisti di varie formazioni ed attivisti dei movimenti di lotta della comune necessità di un bilancio impietoso di un lungo corso politico della “sinistra” il quale è stato foriero di pesanti arretramenti politici – storici ed immediati – oltre che rappresentare, nei fatti, un autentico ostacolo ad ogni possibile ripresa di un movimento sociale generale ad ampia scala. Ritieni che la critica alla “sinistra” (specie nella sua connotazione eurocentrica ed apologetica di presunte “virtù regolatrici” del mercato) vada rafforzata, portata più a fondo ed, ulteriormente, qualificata per iniziare a delineare – finalmente – un orizzonte teorico, culturale e politico che collochi alle nostre spalle ogni stanco surrogato socialdemocratico e/o liberaldemocratico?
Che la “sinistra” sia ormai una partita persa credo che lo dimostreranno anche i prossimi risultati elettorali sulle europee, La RdC ha avviato questa campagna in occasione del passaggio elettorale sia per evidenziare la deriva delle forze di sinistra nella loro subalternità ad una Unione Europea ordoliberista che per sottolineare la nostra posizione di totale indipendenza da quell’ambito. Non credo però che questo aspetto sia quello principale, la critica più efficace è già venuta dalla realtà di questi anni. Per noi il problema è quello di svolgere una funzione in avanti, propositiva, su tutti i piani del conflitto di classe da quello politico a quello sociale fino al ruolo e alle prospettive dei comunisti nel nostro paese. Si sta aprendo una fase storica nuova ed inedita in cui riemergono le contraddizioni di fondo del modo di produzione capitalistico a cominciare dalla competizione interimperialistica. E’ a queste che dobbiamo guardare e non procedere con la testa rivolta all’indietro.
DOMANDA: La Rete dei Comunisti ha sempre sostenuto tutti i tentativi e le sperimentazioni politiche ed organizzative per costruire – specie dopo la catastrofe della “sinistra” – una Rappresentanza Politica degli interessi dei settori popolari della società. Una esigenza, questa, viepiù necessaria mentre si consuma materialmente la “novità Cinque Stelle” sotto i colpi della palese inconseguenza programmatica e della oggettiva natura sociale dei settori di piccola borghesia che sono la base sociale di questo “populismo”. A che punto è il percorso – sicuramente controcorrente e foriero di contraddizioni – per affermare stabilmente una ipotesi di forza popolare anticapitalista incardinata ad un programma autonomo ed indipendente?
Da anni sosteniamo la necessità e lavoriamo per costruire una rappresentanza politica indipendente dei settori sociali subalterni perché vediamo che questa necessità verrà sempre più disattesa in futuro, anche in barba alle dichiarazioni di sinistra che sta facendo Zingaretti ora segretario del PD. In questo senso una cartina tornasole ulteriore è quella della ritrovata unità tra i sindacati confederali complici ma questa volta unitari addirittura con la Confindustria. L’esplosione del fenomeno del M5S ed anche della Lega hanno portato alla luce questa esigenza dei settori sociali, esigenza palesemente disattesa in meno di un anno. Il punto è capire come i comunisti affrontano questo nodo strategico per il conflitto di classe e per ogni ipotesi di cambiamento sociale. In questi anni abbiamo più volte motivato la nostra posizione sulla inattualità del partito comunista di massa ritenendo che in questo periodo storico sia adeguata una concezione militante del partito. Allo stesso tempo, in quanto comunisti, stiamo lavorando per costruire una rappresentanza delle classi subalterne in forme adeguate alla nuova composizione di classe sia per quanto riguarda la loro condizione materiale che per quella politica ed ideologica oggi condizionata dall’egemonia dell’avversario di classe. Ci siamo perciò impegnati in un percorso che prima ha costruito Eurostop, con una posizione netta sulla UE, e poi si è misurata con l’esperienza di Potere al Popolo che intende essere un momento di rottura netto con la “sinistra” nel nostro paese. E’ una strada complessa da percorrere e indubbiamente difficile ma questa della Rappresentanza Politica è una sfida che non può essere evitata per una forza coerentemente comunista.
DOMANDA: L’opposizione, per davvero, alla gabbia dell’Unione Europea, al suo strumento finanziario e monetario, l’Euro, e l’uscita dalla NATO sono parole d’ordine – un vero e proprio programma politico di fase – che si configura, oggettivamente, come una “rottura rivoluzionaria” nel cuore di un importante polo imperialista. E’ evidente, quindi, che per una soggettività comunista del XXI° Secolo si tratta di definire e praticare una funzione – internazionale ed internazionalista – che inizia ad alludere a nuove prospettive (l’Alba Euro/Mediterranea) con uno sguardo ad orizzonti geopolitici oltre l’atlantismo e l’europeismo. Un profilo, quindi, tutt’altro che “nazionalista” o di “ritorno al passato”. C’è spazio politico in Italia, in alcuni altri paesi europei e nelle nazioni che si affacciano o che si relazionano nel Mediterraneo per dispiegare un tale programma di lotta.
Possiamo paragonare la svolta di Trump sui dazi, ovvero sull’ammissione palese dei limiti della crescita di questo sistema, alla fine della convertibilità tra dollaro ed oro annunciata da Nixon nel 1971 per mantenere l’egemonia economica in occidente. In altre parole si chiude la fase della crescita, che possiamo definire postsovietica, e si apre quella della competizione globale tra i maggiori soggetti economico-finanziario-statuali in campo che segnerà i prossimi anni. L’Unione Europea è uno di questi soggetti ed ormai si sta orientando ad attrezzarsi per questa competizione a tutto campo anche con gli USA. Insomma l’UE è un soggetto imperialista, particolare nelle sue forme storiche, che contribuisce a incrementare un clima di conflitto che produce anche effetti militari. Battersi per una alternativa a questa, un piano B, significa non solo difendere gli interessi popolari nei paesi deboli quali quelli del Mediterraneo ma anche indebolire un anello della catena guerrafondaia che si sta manifestando. Non cogliere questa tendenza di fondo, attardarsi sulla retorica europeista come fa la sinistra nostrana rischia di renderci subalterni alle classi dominanti nella UE verso una strada che ci porterà di nuovo a votare per i crediti di guerra.