La pubblicazione delle anticipazioni del rapporto SVIMEZ hanno dato la stura (purtroppo) all’abituale cahiers de doléances che descrive periodicamente il costante peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro nel Sud.
Da tempo non solo lo SVIMEZ ma anche tutti gli istituti di rilevazione statistica fotografano la pesante permanenza di quella (storica) questione/contraddizione meridionale che non solo si conferma come dato strutturale dei vigenti rapporti sociali ma – come affermano gli stessi ricercatori dello SVIMEZ – configura quel “doppio binario” con la contemporanea dinamica economica e sociale continentale.
Bene a fatto Stefano Porcari – su Contropiano.org – ad elencare i punti salienti del campanello d’allarme suonato dallo SVIMEZ rilanciando e commentando questa anticipazione.
Ma, ad onor del vero, dobbiamo registrare che tutta la stampa ha dato risalto a questo vero e proprio allarme sociale su cui occorre aprire una discussione pubblica ampia ed articolata alla complessità ed alla gravità dell’insieme delle questioni inerenti tale caratteristica dello sviluppo capitalistico nel nostro paese.
Evidentemente le teste d’uovo dell’economia e della finanza hanno preso atto che – con buona pace di tutte le cortine fumogene propagandistiche diffuse periodicamente – l’accentuarsi dei fattori della questione/contraddizione meridionale potrà alimentare distorsioni economiche e relative conseguenze sociali i cui esiti, specie nel medio/lungo periodo, non potranno essere interamente prevedibili e, quindi, gestite con le normali forme della governance che abbiamo fino ad ora conosciute.
Del resto tutta la querelle sull’Autonomia Differenziata (comunque declinata: da quella hard dei governatori delle regioni del Nord/Italia alla versione soft come quella avanzata dal governatore della Campania, Vincenzo De Luca) è foriera al riperpetuarsi del complesso dei dispositivi di rapina (neo/coloniale) che hanno manomesso il Meridione determinando quei risultati antisociali che l’articolo di Porcari mette in evidenza. Una dinamica che l’azione dei settori più avveduti della borghesia continentale e della sua forma politica ascrivibile all’Unione Europea hanno, ulteriormente, accentuato non solo in Italia ma anche negli altri paesi dell’Eurozona.
Anzi – come è oramai noto non solo negli ambienti militanti – è la complessiva azione di centralizzazione/concentrazione di capitali che la UE alimenta nel suo procedere verso la costruzione del polo imperialista continentale che rafforza i meccanismi di spoliazione e di sconvolgimento delle aree cosiddette arretrate nei singoli paesi accentuando e cristallizzando il divario Nord/Sud con le relative polarizzazioni e disuguaglianze.
Si tratta, dunque, di cominciare ad interpretare gli abituali dati dello SVIMEZ in un quadrante geo/politico più ampio e – conseguentemente – prendere consapevolezza che qualsivoglia auspicio di riscatto/rinascita del Meridione non potrà avvenire dentro la gabbia dell’Unione Europea.
Un convincimento che dovrebbe rafforzarsi ancora di più se – correttamente – consideriamo che gli scenari economici internazionali che si approssimano saranno segnati dall’aggravarsi delle forme di competizione monetaria, di accentuata concorrenza globale e di nuove turbolenze derivanti dal corso generale della crisi capitalistica.
Ritorna, allora, in maniera oggettiva e materialmente evidente la questione della necessità della rottura con questo parossistico meccanismo di coazione a ripetere che – nel Sud/Italia ma anche negli altri paesi – sta determinando ferite sociali e fenomeni di disgregazione culturale, economica e territoriale che penalizzano, prioritariamente, le giovani generazioni.
Iniziare ad intercettare ed organizzare i settori sociali colpiti da queste politiche neo/coloniali mettendo in discussione i Trattati Europei, le compatibilità dei tetti di spesa e l’intera strumentazione antipopolare derivante dall’Unione Europea e dall’Euro non sono più obiettivi immaginifici ma – alla luce della nuova dimensione delle condizioni dei settori popolari – possono costituire quel programma minimo su cui costruire orientamento, mobilitazione, vertenzialità e conflitto.
Da questo versante dell’azione politica, sociale e sindacale – sicuramente controcorrente e non di facile costruzione – si apre la prospettiva di configurare/progettare una diversa collocazione geo/politica del nostro paese in rottura con l’imperialismo di casa nostra e di apertura verso l’area Mediterranea e con quanti intendono sottrarsi al tritacarne del vecchio/nuovo colonialismo.
Un cambio di paradigma e di superamento (in avanti) da tutte quelle incartapecorite concezioni del mondo e della realtà che la “sinistra” in ogni salsa ha alimentato con conseguenze – politiche e materiali – nafaste e foriere di arretramenti sociali per i settori subalterni della società.
L’urgenza di un nuovo ed inedito meridionalismo è sempre più connesso al dipanarsi di una azione popolare e di classe nell’area Mediterranea!
3/8/2019