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Forum nazionale della Rete dei Comunisti sulle prospettive della Unione Europea
Sabato 20.11 (ore 11 / 18) e domenica 21.11 (ore 10 / 13) presso il Cinema Nosadella, Via L. Berti 2/7 Bologna
Introduzione di Mauro Casadio (Rete dei Comunisti), relazioni di Giacomo Marchetti, Marcella Grasso, Giovanni Russo Spena, Luciano Vasapollo, Franco Russo, Francesco Piccioni, Cinzia della Porta, Sergio Cararo
Il declino degli USA, l’avvio della ristrutturazione dell’industria continentale e l’esercito europeo sono la condizione per un salto di qualità del ruolo internazionale della UE.
Nella relazione sullo stato dell’Unione fatta dalla Von Der Leyen un’affermazione perentoria è risaltata più di tutte le altre ed è quella che testualmente dice “Stiamo entrando in una nuova era caratterizzata dall’ipercompetitività”. Tale evidenziazione ha come presupposto molti elementi che erano presenti già nei precedenti anni ma che ormai, per quanto riguarda la UE, hanno la necessità oggettiva di una sintesi politica, istituzionale e militare.
Questa necessità ha cominciato a concretizzarsi con la vicenda pandemica che ha evidenziato come le relazioni interne alla UE andassero modificate nel senso di una più stretta centralizzazione decisionale ed operativa.
Il Recovery Fund è esattamente la concretizzazione di questa necessità relativa in primo luogo alla tenuta competitiva economica e finanziaria internazionale.
Questo infatti indirizza le imprese europee, in particolare i cosiddetti “campioni” ovvero le multinazionali continentali, verso una ristrutturazione di alto livello tecnologico e pseudo ambientale per tenere testa alla competizione con la Cina ma anche con gli USA oggi in evidente difficoltà.
Non solo, ma la dimensione dei Bond Europei integrati con quelli emessi dal Next Generation EU danno la possibilità alla UE di essere competitiva con l’Euro anche sul piano delle monete di riserva mondiale erodendo, assieme allo Yuan cinese, la rendita di posizione del dollaro che va avanti dalla fine della seconda guerra mondiale con gli accordi di Bretton Woods.
Ma il fatto principale che obbliga gli eurocrati e le forze economiche e finanziare della UE a procedere speditamente sul piano dell’integrazione è la crisi di egemonia degli USA che ormai è palese a tutto il mondo. La fuga dall’Afghanistan, averlo fatto senza “avvisare” gli alleati della NATO e, per ultimo, l’accordo strategico Auskus fatto con Inghilterra ed Australia in funzione anticinese dimostra il fallimento totale della strategia USA nata dopo il crollo dell’URSS.
L’abbandono del continente asiatico, il debole e difensivo tentativo di ricostituire un’alleanza “pelagica” senza i paesi UE e l’affronto fatto alla Francia sui sottomarini venduti all’Australia obbliga l’Unione Europea ad un rilancio del proprio ruolo che non può che essere strategico. Prendendo innanzitutto atto del ridimensionamento degli USA come forza unipolare mondiale e dell’avvio di una inedita fase multipolare dove ogni soggetto statuale è solo nella ipercompetizione suddetta.
La discontinuità che si è creata con la fase unipolare ad egemonia USA porta inevitabilmente alla formazione di un esercito europeo che è già presente nei progetti e nelle dichiarazioni pubbliche del governo della Unione Europea.
Un tale livello di concorrenza mondiale implica per la UE la necessità della centralizzazione decisionale e del ricompattamento interno al proprio ambito comunitario ma rivolto anche alla sua prima periferia esterna, Africa del Nord, Occidentale e Medio Oriente, che porta immediatamente alla necessità di una vera e propria ristrutturazione sia di carattere produttivo che sociale.
Per il nostro paese il parallelo non può che essere fatto con la ristrutturazione industriale avuta negli anni ’80 che ha puntato scientificamente alla distruzione di quella classe operaia che negli anni ’70 era l’avanguardia delle lotte nella società italiana rimettendo in discussione la redistribuzione della ricchezza nazionale fino ad allora tutta a vantaggio delle classi dominanti.
Questo riferimento ci può dare la dimensione di quello che sta maturando e come sotto la retorica ambientalista, delle energie alternative, della modernità prodotta dalla civiltà europea si prospetti un periodo di profonda modifica della produzione, dei servizi pubblici, della condizione sociale fatta di lacrime e sangue tutte versate naturalmente dalle classi subalterne a cominciare dai cosiddetti ceti medi oggi in evidente crisi verticale.
Come è altrettanto evidente che il processo di centralizzazione generalizzato penalizzerà la democrazia nei singoli paesi come sta dimostrando il decisionismo di Draghi ben più aggressivo e pericoloso di quello avuto da Craxi negli anni ’80.
In prospettiva il ridimensionamento dell’apparato industriale, i licenziamenti, la precarizzazione, il piegare le risorse pubbliche a vantaggio delle imprese, la consunzione dei residui spazi democratici saranno i caratteri di una lunga fase che vedrà un peggioramento complessivo delle società europee e questo in un contesto internazionale dove la competizione economica potrà tracimare in scontro politico e militare con schieramenti ad oggi imprevedibili.
EFFETTI SOCIALI DELLA RISTRUTTURAZIONE
Come Rete dei Comunisti dagli anni ’90 abbiamo individuato questa tendenza storica e l’abbiamo descritta come costruzione di un “Polo Imperialista Europeo” in una divisione del mondo post sovietico che vedeva la nascita di aree economico-monetarie competitive sia attorno agli USA, prima con il NAFTA e poi con il tentativo fallito dell’ALCA per l’America Latina, che attorno al Giappone ravvedendo in quella tendenza i pericoli di una ripresa di un conflitto mondiale. Già dall’epoca abbiamo affermato che il dovere degli antimperialisti e dei comunisti era di lottare contro il proprio imperialismo che per noi significava appunto contrastare e rompere la UE che si andava formando.
Da quel decennio sono cambiate molte cose, c’è stata l’emersione della Cina come potenza economica mondiale, il moltiplicarsi di forze regionali quali l’Iran, la Russia e la Turchia, la fine delle velleità imperialiste del Giappone ed ora anche la crisi egemonica degli USA. L’unico progetto organico che è andato avanti grazie proprio alle molteplici crisi, che hanno fatto da volano per il progetto d’integrazione, è stato quello della costruzione dell’Unione Europea. Questa oggi si avvia a superare la condizione di “Area/Polo economico finanziario” e diventare un superstato imperialista che compete sull’agone mondiale come le altre potenze.
In questa paradossale discontinuità internazionale e continuità della UE ci sembra indispensabile riconfermare l’obiettivo della rottura dell’Unione Europea, della fuoriuscita dell’Italia dalla UE e dalla NATO, della costruzione di un’area alternativa che ravvisiamo in quella che abbiamo definito Alba Euromediterranea.
PROPOSTA POLITICA
Sappiamo bene che questo non è un obiettivo all’ordine del giorno ma sappiamo bene che i prossimi anni, la prossima fase storica, sarà caratterizzata dall’incremento dei conflitti, da quello di classe all’interno della UE a quello internazionale certamente politico se non militare direttamente.
Dunque dare una direttiva di marcia, indicare chiaramente qual è il nemico, non lasciare disarmati politicamente e ideologicamente i conflitti prossimi venturi è un impegno che deve partire dal presente momento di crisi del nostro avversario di classe pena l’affermazione di movimenti reazionari di cui ce se ne accorge sempre troppo tardi nonostante che da anni si gridi “al lupo al lupo” spesso verso la direzione sbagliata.