Domenica 28 novembre si sono tenute le elezioni legislative e presidenziali in Honduras, all’interno del ciclo elettorale che ha visto impegnati il Nicaragua, l’Argentina, il Venezuela e il Cile, con quest’ultimo chiamato alle urne il prossimo 19 dicembre per il ballottaggio tra Gabriel Boric e José Antonio Kast.
Le elezioni sono state viste da Washington una certa apprensione considerato il processo di delegittimazione politica dell’oligarchia filo-statunitense al governo – confermato dai risultati parziali – che gli ha permesso di esercitare la propria egemonia nell’ultimo decennio e che ora potrebbe essere messa in discussione.
Altro motivo di preoccupazione statunitense è il possibile riconoscimento del governo di Pechino – per cui la futura presidente si era precedente espressa – e non più di Taiwan, considerato che l’Honduras fa parte di quella di dozzina di paesi che a livello internazionale riconoscono la rappresentanza politica di Taipei. Un aspetto importante considerato lo scontro diplomatico tra la Repubblica Popolare e Stati Uniti proprio su Taiwan, e la polarizzazione internazionale che sta creando.
E Washington vede, tra l’altro, vede come il fumo negli occhi lo sviluppo dell’influenza di Pechino su quello che ha storicamente considerato il suo “cortile di casa”.
Un altro aspetto rilevante che lega USA e Honduras è l’aspetto legato all’immigrazione considerato che la situazione nel paese ha spinto la popolazione verso gli Stati Uniti, e che un quinto dell’intero PIL latino-americano del paese deriva dalle rimesse degli immigrati honduregni negli USA Lo sviluppo del Paese potrebbe permettere di recidere questo “cordone ombelicale”, o comunque di renderlo meno dipendente dagli USA, per uno Stato in cui, su 10 milioni di abitanti, il 59% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.
Oltre all’elezione del prossimo presidente, il popolo honduregno ha votato per 20 membri del Parlamento centroamericano, 128 deputati al Congresso Nazionale, 298 sindaci e i rispettivi consiglieri municipali.
Con il 51,3% delle schede scrutinate, pari a 9.384 seggi sui 18.933 totali, il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) dell’Honduras riporta il vantaggio di 20 punti percentuali di Xiamara Castro (53,6%), candidata della coalizione di centro-sinistra guidata dal Partito Libertad y Refundación (LIBRE), rispetto a Nasry Asfura (33,9%), principale sfidante e candidato del Partido Nacional al governo, e Yani Rosenthal del Partido Liberal (9,2%).
È da evidenziare, soprattutto, l’affluenza storica registrata da queste elezioni, con oltre 5 milioni di honduregni che hanno votato, una cifra equivalente al 68,8% degli aventi diritto. Si tratta di un elemento non indifferente, a riprova del fatto che il popolo honduregno non si è lasciato intimorire di fronte alle violenze a carattere politico che hanno segnato le settimane precedenti la votazione, ed un chiaro segno della volontà di cambiamento.
Le provocazioni, le minacce e gli attacchi denigratori hanno colpito attivisti e militanti di base della sinistra progressista e socialista honduregna. Xiomara Castro, la candidata del Partito LIBRE, è stata bersaglio costante della campagna di odio da parte del partito al potere e di altre forze reazionarie. In una manifestazione organizzata il 7 novembre a Tegucigalpa dal candidato del Partido Nacional, Nasry Asfura, i suoi sostenitori hanno portato uno striscione con un disegno di Xiomara che pugnala allo stomaco una donna incinta, con lo slogan “Nasry sì, comunismo no!”.
La rappresentante del Partito LIBRE nel Consiglio Nazionale Elettorale, Rixi Moncada, è stata vittima di una campagna diffamatoria e di odio, quando ha dichiarato pubblicamente dei rischi di una destabilizzazione del processo elettorale a seguito dei tentativi della destra di creare un clima di terrore diffuso, di manipolare il Sistema di trasmissione dei risultati elettorali preliminari (TREP) e di compromettere la trasparenza delle votazioni.
È stato annichilito quindi, per ora, il tentativo della destra governativa di screditare la Castro con una feroce campagna anti-comunista anche a causa dello stretto rapporto che la futura Presidente aveva coltivato con il presidente venezuelano Hugo Chavez.
L’ultimo processo elettorale, nel 2017, era stato segnato da diffuse irregolarità, che scatenarono proteste di massa in tutto il paese che denunciavano brogli elettorali da parte del Partido Nacional al potere. Il governo dell’allora presidente Juan Orlando Hernández impose il coprifuoco e scatenò una violenta repressione della polizia contro i manifestanti, in cui più di due dozzine di persone persero la vita. Tre settimane dopo, Hernández fu dichiarato vincitore, riuscendo così ad assicurarsi un secondo mandato.
Come ha la leader comunitaria e storica figura dell’opposizione Miriam Miranda: “i colpi di Stato hanno trasformato l’Honduras in un laboratorio politico per la distruzione delle istituzioni”, uno svuotamento della propria sovranità che il capitale internazionale ha promosso anche grazie allo sviluppo delle Zone Economiche Speciali (ZES).
Stavolta, a meno di colpi di mano all’ultimo minuto, Xiomara Castro sarà la prima presidentessa dell’Honduras, marcando una grande vittoria per le forze sociali e progressiste del paese che per 12 anni ha subito – non impassibile, ma sempre dimostrando una forte resistenza popolare – le politiche neoliberiste di massacro sociale attuate dal regime narco-militare e satellite dell’imperialismo USA guidato dal fedele Juan Orlando Hernández.
Gli ultimi 12 anni sono stati caratterizzati dalla militarizzazione del paese, la consegna di territori ad attori privati per l’estrazione di risorse naturali (ZES), il deterioramento delle condizioni socio-economiche della maggioranza della popolazione, i tagli al settore pubblico, la corruzione sfrenata e la migrazione di massa fuori dal paese e lo sviluppo del narco-traffico che ha fatto parlare di “Colombizzazione” del Paese.
“Abbiamo vinto! Dodici anni di resistenza di questo popolo e questi dodici anni non sono stati vani perché oggi il popolo si è mostrato e ha fatto valere la frase ‘solo il popolo salva il popolo’. Oggi il popolo ha fatto giustizia”, ha affermato trionfante Xiomara Castro nella conferenza stampa dopo il bollettino del CNE. Inoltre, ha annunciato che formerà un governo di riconciliazione, di pace e giustizia sociale, per costruire una vera democrazia partecipativa nel paese centro-americano con tutti i settori politici e sociali che l’hanno sostenuta, e legalizzerà parzialmente l’interruzione di gravidanza.
Pertanto, l’Honduras si accinge a riprendere quel cammino di trasformazione sociale progressista iniziato nel 2006 da Manuel Zelaya, marito di Xiomara Castro, e brutalmente interrotto dal violento colpo di Stato nel 2009, quando fu destituito ed espulso dal suo paese.
Il golpe del 2009 è arrivato dopo che l’ex presidente Zelaya aveva firmato l’ingresso dell’Honduras, l’anno precedente, nell’Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra, cominciando a stabilire una serie di accordi di cooperazione e sviluppo economico e sociale con gli altri paesi membri dell’ALBA. Il suo piano di autodeterminazione e autonomia rispetto alle politiche di Washington per far uscire il popolo honduregno da una condizione di povertà e precarietà sociale è stato attaccato duramente dalla destra reazionaria e complice che ha riportato l’Honduras sotto l’influenza diretta degli USA, più simile ad una “colonia” che ad uno Stato indipendente.
“Fuori la guerra, fuori l’odio, gli squadroni della morte, il traffico di droga, la corruzione, basta con la povertà e la miseria in Honduras. ¡Hasta la victoria siempre! Insieme trasformeremo questo paese”, questo il messaggio di speranza lanciato da Xiomara Castro al popolo honduregno e che ci spinge, anche alle nostre latitudini, a rafforzare il nostro impegno politico per trasformare la solidarietà con i processi di emancipazione dell’America Latina in uno degli assi principali del nostro agire perché è da questo continente che parte una speranza per tutta l’umanità.
La sfida di Xiomara Castro sarà quella di contrastare i poteri economici, mediatici e militari di cui gode la destra nazionalista, grazie all’appoggio statunitense, e le violenze dei cartelli della droga e dei gruppi armati le quali sono aumentate dopo il colpo di Stato nel 2009 e che hanno causato la morte di numerosi attivisti sociali e leader indigeni, come quello di Berta Cáceres. Xiomara Castro ha affermato che la sua vittoria metterà fine all’autoritarismo di pochi e agli abusi di una “classe dirigente” corrotta e servile che ora trema e rischia di perdere i privilegi accumulati: “da questo momento in poi, il popolo sarà l’eterno potere dirigente in Honduras”.
In questi anni, le organizzazioni sociali e le forze politiche progressiste hanno fatto un grande lavoro per costruire una resistenza popolare e di massa contro il governo di Juan Orlando Hernández, il sistema di affari del Partido Nacional, le élite economiche nazionali e le ingerenze di Washington nella politica interna. Il nuovo governo, che entrerà in carica nel gennaio 2022, dovrà affrontare la sfida di salvare il popolo honduregno da un’enorme crisi economica e sociale; per farlo, dovrà rovesciare quell’infame condanna sancita dalle forze imperialiste USA che per decenni hanno fatto dell’Honduras una “colonia dannata” da sfruttare e depredare.
Come Rete dei Comunisti non possiamo che rallegrarci di questo ennesimo segnale di risveglio dell’America Latina e di indebolimento dell’imperialismo statunitense. Le condizioni oggettive che erediterà la Castro ed i tentativi di ingerenza nord-americani che non cesseranno nonostante la vittoria elettorale rafforzano la necessità di essere al fianco delle popolazioni che in quel continente ne stanno riscrivendo il futuro.
Rete Dei Comunisti, 29 novembre 2021