Giovanni Di Fronzo
Il Governo Libanese ha approvato la finanziaria del 2020. Sotto la duplice pressione delle proteste di piazza e delle fibrillazioni interne, nate dalle minacce di dimissioni del Primo Ministro Saad Hariri e delle dimissioni effettivamente presentate dai Ministri del partito falangista “Forze Libanesi”, il Consiglio dei Ministri approva un pacchetto di riforme in linea con gli obiettivi di bilancio richiesti pressantemente dalla Francia.
L’obiettivo nel rapporto deficit/PIL è fissato allo 0.6%; per raggiungerlo, però, non verranno imposte nuove tasse, come quella sulle chiamate vocali di Whatsapp, che ha fatto infuriare la popolazione, bensì attraverso un maxi-prelievo una tantum sulle banche, dal quale si prevede di incamerare addirittura 3,4 miliardi di dollari, e il taglio del 50% degli interessi sul debito pubblico detenuto dalla Banca Centrale Libanese; non sono stati chiariti maggiori dettagli in merito.
Verranno, inoltre, privatizzate le compagnie di telecomunicazione in mano allo Stato e si accelererà la concessione delle licenze per costruire centrali elettriche, al fine di puntellare la traballante rete elettrica nazionale. Sono previsti tagli del 50% agli stipendi di ministri e deputati e tagli del 70% ad enti statali considerati inutili e parassitari. Un budget è riservato anche a misure sociali, tipo prestiti a basso tasso d’interesse per pagare gli affitti e 13,3 milioni di dollari di assistenza per le famiglie povere.
La risposta della piazza è tuttavia irremovibile: non si smobilita e le arterie bloccate non verranno liberate. Dal canto suo, l’esercito, a parte qualche schermaglia, ha fatto filtrare l’intenzione di non volersi adoperare per lo sgombero contro la volontà dei manifestanti e, secondo alcune fonti, sarebbe intervenuto a disperdere una contromanifestazione dei sostenitori di Hezbollah e Amal a Beirut.
Le richieste che emergono dalla piazza sono abbastanza chiare: dimissioni dell’attuale esecutivo senza se e senza ma e sua sostituzione con un governo provvisorio composto da personalità esterne ai partiti, ovvero i giudici (c’è anche qualcuno che propone l’esercito o i tecnici), che dovrebbe traghettare il paese alle prossime elezioni, da tenersi con un sistema elettorale nuovo, non confessionale.
Come si vede, la protesta è tutta focalizzata contro l’attuale sistema dei partiti in maniera indistinta, mentre nulla viene detto sulle potenze straniere che da sempre li finanziano, condizionano e sovradeterminano, e nulla viene detto sulla politica estera. Anzi, i condizionamenti esterni sembrano essere visti come un alibi dietro il quale i partiti stessi si nascondono.
A tale clima, come si è visto, non è estraneo nemmeno Hezbollah, il quale ha addotto proprio le pressioni esterne – che inevitabilmente ne conseguirebbero – per motivare la propria necessità di essere completamente estraneo a tale movimento popolare; l’organizzazione sciita ha anche messo in guardia sul fatto che la situazione peggiorerebbe, anziché migliorare, nel caso in cui il governo dovesse dimettersi, perché si creerebbe un vuoto di potere.
La situazione, dunque, è in stallo, dato che sia il Governo, sia le proteste vanno avanti e non si hanno più notizie di grossi atti repressivi, non solo da parte dell’esercito, ma nemmeno da parte della polizia, delle milizie dei partiti e degli sgherri dei politici locali.