Capitale e natura – Seconda parte parte – Capitolo 8
Come già detto, il Modo di Produzione Capitalista ha sviluppato moltissimo le forze produttive per finalizzarle essenzialmente all’accumulazione e al profitto. Per ottenere questo evidenzia i suoi effetti più devastanti proprio negli elementi principali della produzione: il lavoro e la natura. Sul lavoro ha generato maggiore sfruttamento, diminuzione dei diritti, flessibilità, precarizzazione istituzionalizzata, licenziamenti, emigrazione.
Sulla natura ha generato inquinamento, deforestazione, dissesto territoriale, cambiamento climatico, depauperazione, produzione eccessiva di rifiuti.
La scienza e la tecnologia assumono un ruolo centrale esclusivamente in quanto forza produttiva, diventano prevalentemente un fattore di produzione, di colonizzazione, di imperialismo.
La crescita economica quantitativa, che si contrappone quindi a uno sviluppo pianificato socialista, significa ignorare i problemi sociali e la tutela degli ecosistemi.
È lampante, infatti, che la produzione capitalista, sta portando l’umanità verso strade che non possono che avere conseguenze umane e sociali non più controllabili. Basti pensare al disastro legato allo sfruttamento e neo-colonizzazione del Terzo Mondo, in cui non esiste alcun tipo di protezione del lavoro e dell’ambiente, per comprendere quale sia l’effettiva portata del problema.
“Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per tutti i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni. Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un’impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. (…) Ai vecchi bisogni (…) subentrano nuovi bisogni, che per essere soddisfatti esigono prodotti dei paesi e dei climi più lontani” (K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito Comunista).
In questi scritti di Marx ed Engels si anticipa la globalizzazione capitalista come competizione globale e i problemi drammatici per l’umanità ad essa connessi, con la continua rincorsa agli investimenti distruttivi della natura, anche a quelli finanziari e non produttivi, nel tentativo di risolvere la crisi di accumulazione.
E’ possibile parlare allora di sviluppo sostenibile senza mettere in discussione il modello di sviluppo capitalista e attuare il suo superamento? La nostra risposta è decisamente no! Questo è possibile solo attraverso uno sviluppo capace di cambiare radicalmente i concetti di proprietà, di produzione, di consumo.
Nei processi storici è il nesso tra forze produttive e rapporti di produzione che determina il sistema sociale ed economico. Nel Modo di Produzione Capitalista, lo sviluppo delle forze produttive è misurato quantitativamente dall’aumento della produttività in relazione ad una data unità di capitale. Questo avviene attraverso la concretizzazione della scienza e la tecnologia, soprattutto sotto forma di tecno-scienza, e alla loro applicazione nell’organizzazione del lavoro. I rapporti di produzione invece sono quelle che derivano dalla relazione di proprietà, cioè chi possiede i mezzi di produzione, che nel sistema capitalista coincidono con il capitale.
In questo sistema trovano il loro posto la scienza, la tecnologia, il lavoro, la natura.
Nel Modo di Produzione Capitalista sia le forze di produzione che i rapporti di produzione sono finalizzati all’accumulazione capitalista. Nel nesso tra forze di produzione e rapporti di produzione si inserisce la contraddizione capitale-natura, si attua una costante lotta di classe “dall’alto” contro il lavoro e contro gli interessi dell’Umanità.
In un processo di transizione al socialismo, dove si rende necessaria una pianificazione economica e sociale come strumento di uguaglianza e di giustizia, sarà possibile uno sviluppo socio-eco sostenibile che potrà essere orientato a nuovi rapporti tra uomo e uomo e tra uomo e natura, quindi alla ridefinizione delle finalità delle forze produttive e dei rapporti di produzione.
Il problema quindi non è se sviluppare le forze produttive, ma la finalità dello sviluppo delle forze produttive, se svilupparle per il capitale o per il lavoro, e nei rapporti di produzione che ne deriveranno da quest’ultime sarà avviato il processo di superamento del conflitto con il lavoro e con la natura.
Nell’immaginare il futuro verso questa direzione dovremo però anche saper riconoscere gli errori del passato, e prendere dalle esperienze realizzate la sue parti migliori, sapendole attualizzare, ed essere capaci anche di contaminarle con “nuovi” paradigmi socio-ecologico politici anticapitalisti.
Una pianificazione socialista, quindi basata su una democrazia partecipativa, che abbia come fine la soluzione dei problemi sociali, il progresso e lo sviluppo collettivo, e quindi anche la salvaguardia della natura. Un processo di rinnovamento culturale che torni a dare importanza ai valori d’uso, al benessere collettivo, ai diritti dell’umanità, alla solidarietà, all’equità, alla condivisione, alla reciprocità.
Una società che sarà capace anche di superare il semplice rapporto opportunistico con la natura, dove non si tratta di preservarla per sfruttarla meglio e di più, ma vivere in armonia con essa e utilizzarla quando è necessario.
Una pianificazione anche non del tutto centralizzata, accompagnata quindi anche da forme di decentralizzazione, che possa trovare delle possibili relazioni miste tra centralizzazione e autogestione, pur rimanendo di proprietà collettiva i mezzi di produzione e le decisioni produttive come tipo di prodotti, quantità, prezzi oltre al tipo di servizi pubblici da erogare.
Quindi capace anche di prevedere le risorse da impiegare in base alle disponibilità e alla razionalizzazione in termini economici, scientifici ed ecologici.
Dove, nelle sue varie fasi transitorie, possano essere anche i lavoratori delle singole unità produttive a determinare gli obiettivi, le decisioni ordinarie e quelle esecutive, quindi la gestione. Dove i lavoratori possono fruire dei risultati positivi e sopportarne in parte i rischi.
Questo nell’ambito di piani nazionali ma anche locali e settoriali.
Dove le risorse, anche di tipo naturale ed energetico, possono essere oltreché quelle nazionali e internazionali, soprattutto quelle locali, così come i destinatari delle merci e dei servizi prodotti.
Questo può significare un approccio diverso con la natura, grazie ad un maggior coinvolgimento con il proprio territorio, alle conoscenze approfondite che si ha di questo, alla percezione esatta dei bisogni e delle risorse territoriali disponibili, ad una visione di valorizzazione e di valenza della cultura locale, ma anche ad una visione cosmo centrica della natura stessa.
Un approccio completamente diverso alla produzione, alla circolazione delle merci e delle persone, ai consumi, ai servizi, con l’ottimizzazione dei bisogni materiali e culturali, anche oltre quelli primari, che quindi non può che avere effetti positivi anche sulla risorse naturali, perche fuori dalla logica del profitto e dell’accumulazione capitalista, e da quella conseguente della sua fase imperialista, che sussume la natura.