Rimettere le categorie giuste al posto giusto
La ristampa del famoso testo di Marx curata dai Quaderni di Contropiano, invita a reintrodurre nel dibattito e nell’analisi delle elaborazioni affatto datate che fanno piazza pulita di manipolazioni tese a seminare confusione e far arretrare la sinistra anche su una questione storicamente e politicamente nitida come quella palestinese.
Riproduciamo uno dei tre interventi (Casadio, Mazzone e Garroni) che presentano e precedono ristampa dell’opera di Marx.
Stefano Garroni ( in L’attualità de “La questione ebraica” di Karl Marx e in Contropiano Anno 10 n° 2 – 31 maggio 2002)
Die Judenfrage (La questione ebraica) fu pubblicato da Marx nel 1843, nell’unico numero uscito della rivista “Annali franco-tedeschi” (Deutsch-Französische Jahrbücher) l’articolo vuol essere un commento critico a diverse pagine, che il neo-hegeliano Bruno Bauer aveva dedicato alla questione ebraica, utilizzandola però anche come occasione per riflettere più in generale sul rapporto fra libertà e Stato nella situazione tedesca dell’epoca; vedremo che pure Marx affronterà il tema sostanzialmente come pretesto per considerazioni politico-teoriche di portata più generale.
A noi, tuttavia, converrà seguire un po’ da vicino l’andamento del testo, allo scopo di mettere meglio in evidenza la procedura da Marx elaborata per giungere alle sue tesi più generali.
C’è una parte dell’argomentazione di B. Bauer, che Marx accoglie: esattamente questa – gli ebrei tedeschi rivendicano – in quanto ebrei – l’emancipazione civile o politica; e la rivendicano dal cristiano Stato tedesco (che allora si definiva ancora religioso, appunto).
Ma se essi fondano la loro rivendicazione sul fatto di essere ebrei – dunque sulla loro qualità religiosa – non possono pretendere che lo Stato, cristiano, rinunci alla propria qualità religiosa e che, dunque, li tratti come cittadini e non come ebrei esattamente.
Se essi, dunque, si rivolgono allo Stato in quanto cristiano, non possono rivendicare la qualità universale di cittadino, ma solo quella, religiosa, di ebreo esattamente, con tutto l’insieme di privilegi/esclusioni che ciò comporta all’interno di uno Stato, che è cristiano.
Se invece gli ebrei rivendicano l’emancipazione politica in quanto cittadini e non in quanto ebrei, allora non possono che parlare in quanto tedeschi e lottare – insieme a tutti gli altri tedeschi – contro lo Stato religioso, in nome dello Stato laico moderno.
Insomma, se gli ebrei lottano in quanto ebrei, allora non possono pretendere la solidarietà degli altri tedeschi; se chiedono invece la solidarietà degli altri tedeschi, allora non possono avanzar rivendicazioni in quanto ebrei. Questo è il lato dell’argomentazione di Bauer, che Marx accetta.
Ciò che egli non accetta è la conseguenza, che da tale argomentazione Bauer ricava: l’invito all’ebreo di rinunciare al suo essere ebreo per unirsi con gli altri tedeschi nella lotta per il moderno Stato politico e non più religioso.
Emancipazione politica senza emancipazione religiosa?
La domanda che Marx si pone – e pone allo stesso Bauer – è la seguente: ha senso chiedere all’ebreo di liberarsi dalla chiusura nella sua partigianeria religiosa (Befangenheit) in nome dell’emancipazione politica, dunque, in nome del moderno Stato laico e non più religioso?
Bisogna badar bene ai termini della domanda, perchè – come lo stesso Marx sottolinea – il modo di formulare un problema incide direttamente sulla sua risoluzione. Chiariamo quest’ultimo punto.
Per “formulazione di un problema” Marx intende l’individuazione delle condizioni logico-storiche della sua apparizione e dinamica. In altre parole, un problema, in questo caso politico-religioso, è il risultato di un processo storico, che avviene all’interno di una struttura fondamentale, caratterizzante un tipo determinato di società; ora questa struttura si muove in un certo modo, in questo senso è specificata da una logica ed appunto da questa logica dipendono le possibilità di variazioni della struttura, le sue compatibilità.
Lo Stato politico o laico moderno è lo Stato della moderna società capitalistica; la questione allora diviene: la logica, che caratterizza questa struttura politica determinata, rende sensata la prospettiva della liberazione dalla angustia partigiana (la Befangenheit), mediante l’emancipazione politica, quindi, mediante la sola forma di emancipazione, che questo tipo di Stato può garantire? Detta in altro modo, il “campo” determinato dalla società e dallo Stato borghesi presenta una dinamica tale (una logica), per cui è realistico attendersi che la forma di emancipazione da essa consentita (quella politica) sia effettivamente compatibile con la liberazione dell’uomo dall’angustia partigiana della religiosità propria?
Ma, ancora più in generale, può lo Stato moderno, con la sua forma di emancipazione, realmente emancipare da una qualunque forma di ristrettezza ed angustia partigiana?
Come si vede, nella formulazione marxiana del problema è implicita la tesi, per cui la particolarità (al limite, l’individualità) può, di fatto, raggiungere il grado o la forma di emancipazione (liberazione), che la logica dell’insieme (qui, una società data) consente. Il progetto di emancipazione/liberazione della parte è, in altre parole, funzione del campo di compatibilità, proprie dell’insieme dato. Potremmo dire che la possibilità effettiva di liberazione/emancipazione è stretta entro il limite delle compossibilità del sistema.
Ma torniamo a seguire da vicino l’andamento del testo di Marx.
Come ha colto lo stesso B. Bauer, la contraddizione caratterizzante, all’epoca, i rapporti fra ebrei e Stato cristiano tedesco, è una contraddizione religiosa.
Ma, si chiede Marx, come può esser risolta una contraddizione? Rendendola impossibile.
E come si rende impossibile la contraddizione religiosa? Superando la religione.
“Non appena ebreo e cristiano, nelle loro opposte religioni, non riconoscono altro se non diversi gradi di sviluppo dello spirito umano, quasi differenti pelli di serpente abbandonate nel corso della storia e che proprio l’uomo è il serpente che di volta in volta di quelle si è ricoperto, allora essi non stanno più in un rapporto religioso, ma solo ormai in un rapporto critico, scientifico, umano. La scienza dunque è la loro unità. Ed all’interno della scienza le contraddizioni si risolvono con la scienza stessa”.
Religiosità e religione determinata
Come si vede, l’argomento di Marx implica la distinzione fra religiosità e religione determinata, intendendosi, con la prima (la religiosità) l’elaborazione da parte di uomini, che vivono in epoche storiche diverse, di rappresentazioni e culti, che hanno lo scopo di dar senso e valore alle forme della vita sociale; le religioni determinate, invece, sono le singole tappe o le singole maniere, in cui storicamente la religiosità si realizza.
Si potrebbe dire in altri termini che la religiosità punta a sancire, giustificare il modo esistente di vita sociale (quale esso sia) e che, dunque, in contesti differenti, assume l’aspetto di diverse religioni determinate.
Un’altra importante conseguenza è, però, questa: se la religiosità è – come vedremo anche in seguito – la tendenza a sancire e legittimare una forma di vita sociale, caricandola di un senso e valore che vengon dalla potenza divina e non dall’organizazione sociale in quanto tale, dunque, a ricercar la regola dell’organizzazione sociale non nel mondo, ma nel sovra- mondo (questo significa dall’esterno) -, se questo è vero, non ne consegue che la religiosità esaurisca in sè tutto il senso e la portata della singola religione determinata.
Quest’ultima, infatti, è anche espressione di certe particolari condizioni culturali e morali di un’epoca data, di una storia determinata e, dunque, per esser compresa nella sua particolarità avrà bisogno di un complesso di analisi, volta a volta diverse. Insomma, dalla distinzione fra religione e religiosità non deriva un pericolo di “riduzionismo”, ma sì, al contrario, la sollecitazione ad uno studio articolato, complesso, diversificato delle singole forme di religione e della loro storia.
Ma c’è un’altra fondamentale osservazione, che va fatta.
Come risulta dal testo di Marx, si ha fuoriuscita dal punto di vista religioso, quando si accede a quello scientifico. Il quale, però, è definito, anche, critico e umanistico. Non è dubbio che questo significa che quando Marx usa espressioni come scienza, scientifico, non intende riferirsi, solo, ad un certo complesso di tesi e procedure, caratterizzato così e così.
Muoversi nell’ambito del punto di vista scientifico (della “libera ricerca scientifica”, come egli dirà, ad es., in Das Kapita/) significa, più in generale, accettare una prospettiva, che non accoglie nessun presupposto, che non sia criticamente vagliato e che, in fine, pone l’umanità al centro della preoccupazione.
E’ la società borghese ad essere intrisa di religiosità
L’emancipazione politica è proprio questa scissione della vita sociale in una dimensione mondana ed una celeste, le quali sono esattamente i due rovesci della stessa medaglia, dunque, si implicano reciprocamente, nel senso che non è possibile la celeste uguaglianza (dunque, l’uguaglianze dei cittadini di fronte allo Stato), senza avere, contemporaneamente, la disuguaglianza loro nella mondanità della società civile o ambito della vita quotidiana e lavorativa. Il reciproco implicarsi di queste due dimensioni esattamente ha il senso che la dimensione celeste (giuridico-politica), da un lato, è richiesta, sollecitata dalla dimensione mondana (in definitiva, l’universo delle attività economiche); dall’altro, che la dimensione celeste sancisce, con il crisma della legge (divina o meno, che sia), quella mondana.
In altre parole, ecco che la società borghese si mostra intrisa di religiosità, perchè spezza l’uomo in una parte terrena ed una ultra-terrena e perchè fa di quest’ultima la sanzione, la legittimazione della prima.
Per tornare alla questione dell’emancipazione degli ebrei, è chiaro, per Marx, che invitarli, come faceva Bauer, alla lotta per l’emancipazione politica – posta la logica propria di questo tipo di emancipazione – non solo non significa indicar loro la strada per uscire dalla ristrettezza particolare della loro situazione, ma addirittura significa riproporre, invece, tale ristrettezza, attraverso il medio di un’ emancipazione solo “celeste”.