da “Una Storia anomala” primo volume
Il passaggio dalla sinistra rivoluzionaria alle prime ipotesi di organizzazione di classe sia nelle fabbriche che nei quartieri romani, delle aree che avrebbero successivamente dato vita all’OPR, avviene attorno al 1973 anno in cui, non a caso, si scioglie Potere Operaio segno di un cambiamento politico in atto.
Più avanti si tornerà sulle lotte operaie e sulla nascita dell’esperienza del sindacalismo di base. Ma è fondamentale ricostruire lo “straripamento” nella prima metà degli anni ’70 delle lotte operaie verso la città ed i quartieri e che coinvolse anche una parte consistente dei gruppi e dei militanti della sinistra “extraparlamentare”.
Tra le prime lotte ci fu l’autoriduzione delle tariffe pubbliche nei quartieri popolari, che furono un elemento di generalizzazione del conflitto sociale negli anni in cui – dentro la crisi esplosa nel 1973 con lo shock petrolifero – cominciava a far sentire il suo peso l’inflazione, che sarebbe arrivata negli anni seguenti a percentuali di due cifre causando una decurtazione di fatto dei salari. In quel periodo lo slogan più urlato durante le manifestazioni era “aumenta il pane, aumenta la benzina, governo Rumor, governo di rapina”.
Di fronte all’aumento delle tariffe di luce, telefono, gas, partirono lotte contro il carovita che coinvolsero centinaia di migliaia di proletari, sia lavoratori che gente dei quartieri popolari. L’autoriduzione delle bollette dell’elettricità parte dalle fabbriche a Torino e Milano e ben presto si estende a Roma e in altre grandi aree metropolitane. Mentre a Torino l’autoriduzione fu gestita per un periodo direttamente dalla FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) ed in particolare dalla Fiom, in molte città gran parte dei militanti della sinistra rivoluzionaria si riversò nei quartieri popolari, dell’edilizia pubblica, dove trovò un’adesione di massa da parte degli abitanti dei quartieri e per un lungo periodo di tempo le famiglie che praticarono l’autoriduzione delle bollette furono decine di migliaia. Per la prima volta sui giornali si sentì parlare di “disobbedienza civile”, in realtà era molto di più.
La prima lotta fu rappresentata dall’autoriduzione delle bollette SIP (telefono) che però venne rapidamente stroncata dall’azienda, in quanto i distacchi delle linee a chi praticava l’autoriduzione avvenivano nelle centraline telefoniche, impossibili da controllare dalle strutture territoriali.
Cosa diversa fu per le bollette dell’energia elettrica che richiedevano per il distacco della fornitura di andare direttamente nei caseggiati e che potevano essere impediti con agguerriti picchetti popolari (con le donne dei quartieri in prima fila). Questa forma di resistenza popolare contro il carovita a Roma dilagò rapidamente. Un primo straordinario risultato fu, sempre in tema di tariffe elettriche, l’accordo strappato nel corso di una iniziativa promossa dai Comitati Popolari di Ostia, Quarticciolo, Tor de’ Schiavi, Villa Gordiani. Durante l’occupazione dell’Assessorato al Tecnologico i Comitati strapparono all’assessore Siro Castrucci (Giunta Darida), l’impegno per l’introduzione di una fascia sociale di consumo a prezzo ridotto da parte dell’ACEA che successivamente venne introdotta a livello nazionale anche dall’ENEL.
La lotta per l’autoriduzione delle bollette fu anche il terreno della competizione egemonica tra i diversi gruppi politici della sinistra extraparlamentare che cercavano di affermare la propria forza aumentando il numero delle bollette raccolte e delle famiglie proletarie coinvolte. Questa mobilitazione produceva anche organizzazione popolare come i picchetti fatte dalle stesse famiglie all’arrivo dei dipendenti aziendali addetti al distacco delle utenze, anzi in alcuni quartieri gli stessi dipendenti (soprattutto gli operai dell’Enel) si rifiutavano di andare a fare i distacchi o perché in qualche modo solidali con la lotta o perché sapevano che potevano incorrere in una risposta “dura”. Quartieri come la Magliana, il Trullo, Garbatella, Valmelaina, Tufello, Nuova Ostia, Primavalle, Tiburtino erano all’epoca quartieri dove si intrecciavano numerose lotte.
Questa situazione di competizione tra gruppi, talvolta con momenti di tensione, non si produceva solo a livello politico centrale ma anche sul piano della lotta per la casa. A fine ‘73 e inizio ‘74 a Roma furono occupati circa 5.000 appartamenti di edilizia privata. Queste occupazioni erano state precedute ai primi di novembre dall’occupazione delle case di San Basilio che furono poi drammaticamente sgomberate a settembre dell’anno successivo.
Le massicce occupazione di case portarono ad un livello di scontro nella città altissimo. Lotta Continua, Avanguardia Operaia, alcuni collettivi di quartiere, poi confluiti nell’autonomia operaia (nelle sue varie articolazioni) ed altri gruppi ancora, si gettarono nelle occupazioni di case con un ritmo quasi quotidiano, dato che la situazione alloggiativa era drammatica e la disponibilità alla lotta era altissima.
Questo avveniva spesso in modo caotico e improvvisato proprio a causa della competizione politica, Ci fu, ad esempio, un’occupazione di case enorme a Decima organizzata da Lotta Continua, con più di 1000 famiglie portate ad occupare – bloccando per ore il Grande Raccordo Anulare – case costruite da cooperative ed assegnate già ai proprietari. Le case poi furono rapidamente abbandonate nel giorno stesso dell’occupazione, visto che queste non erano oggetto di speculazione edilizia. Peraltro il numero di famiglie che accorrevano era di gran lunga superiore al numero degli appartamenti. Un fenomeno che si ripeté in diversi altri momenti. Non era raro che dopo aver scelto l’obiettivo si partisse con un numero di famiglie rapportato agli alloggi da occupare e strada facendo si aggiungessero alla carovana di auto con i materassi sul tettuccio altre famiglie estranee al gruppo organizzato. Da lì la necessità di cercare altre case e organizzare nuove occupazioni.
La massiccia migrazione interna dal Meridione verso le città del triangolo industriale (Torino e Milano soprattutto) e verso Roma dove era in corso il boom edilizio (che caratterizzerà il sacco di Roma), vedeva decine di migliaia di proletari meridionali arrivare nelle grandi città per lavorare in fabbrica o nei cantieri. Ma le case scarseggiavano o avevano affitti troppo alti. Intorno a Roma nascevano così numerose baraccopoli abitate da migliaia di famiglie in condizione di povertà estrema: Borghetto Prenestino, Borghetto Latino, Acquedotto Felice, Cessati Spiriti, Fosso Sant’Agnese, Arco di Travertino. Immense bidonvilles fatte di case in lamiera, con scarti dell’edilizia o addirittura sistemandosi dentro i ruderi antichi della città come gli acquedotti, ricavandone abitazioni di fortuna.
I settori sociali coinvolti nel movimento di occupazione erano molteplici: dal sottoproletariato, onnipresente nelle iniziative di lotta, ai settori popolari dei quartieri, dagli operai di fabbrica ed edili sindacalizzati, finanche a settori di lavoro tecnico e qualificato. Quello della lotta per la casa fu insomma un movimento che mobilitò un vero e proprio blocco sociale e fece uno scontro direttamente con la CGIL ed il PCI, spesso forze di riferimento elettorale di molti degli occupanti.
Il 17 febbraio 1974 fu convocato da CGIL,CISL, UIL uno sciopero generale di 4 ore che a Roma fu invece prolungato per l’intera giornata. Il movimento delle occupazioni di case decise di partecipare al corteo dei sindacati confederali dove ci fu un impatto durissimo tra i servizi d’ordine degli occupanti e quello sindacale.
La situazione politica in città a quel punto divenne pesantissima. Già a febbraio l’ACER, (l’associazione dei costruttori romani), minacciò di non firmare l’accordo integrativo di categoria, con la chiusura di tutti i cantieri e la messa in libertà di decine di migliaia di operai edili, se non si fossero sgomberate le case occupate e bloccato l’intero fenomeno. Questa posizione era sostenuta da gran parte della stampa romana per lo più in mano ai palazzinari e, con argomentazioni diverse ma convergenti, dall’Unità che propagandava la posizione del PCI e del SUNIA contrari alle occupazioni. La cronaca di quei giorni è un vero bollettino di guerra. Il movimento era assediato da ogni parte, polizia, fascisti, stampa, partiti e sindacati erano contro il movimento. E subito dopo, a metà febbraio la polizia cominciò a sgomberare uno per uno i palazzi occupati. Agli sgomberi si rispondeva con altrettanta durezza da parte del movimento che si sentiva politicamente impegnato in uno scontro con i palazzinari romani, uno scontro che il PCI aveva cessato di fare dopo una prima fase che aveva visto le occupazioni di case (via Pigafetta, Esquilino, Via Prati di Papa), promosse dall’UNIA alla fine degli anni ’60.
Ogni intervento poliziesco era contrastato dalla mobilitazione. Particolarmente pesanti furono gli scontri fatti per lo sgombero dei palazzi della SARA, i primi ad essere occupati. Lì avvenne il primo sgombero, il 15 gennaio, quando la polizia si presentò in forze. Gli occupanti, sostenuti da gran parte del quartiere e dai militanti della sinistra, diedero vita a scontri violenti con la polizia per i giorni successivi e cominciarono a presidiare i palazzi, che nel frattempo erano stati murati da grossi blocchi di cemento e grate di ferro. Subito dopo furono occupati nello stesso quartiere, in Piazza S. Policarpo, un centinaio di appartamenti. Dopo una decina di giorni, con una azione “militare”, le case vennero rioccupate. Alcuni abili guastatori tra gli occupanti, armati di corde e rampini, salirono al primo piano e con l’uso di potenti pompe idrauliche riuscirono a spostare i massi di cemento dagli ingressi e permisero l’ingresso delle famiglie. I guardiani messi lì dalla proprietà davanti a quella dimostrazione di forza se la diedero a gambe levate. Cinque giorni dopo centinaia di poliziotti con violenza inaudita sgomberarono di nuovo. Seguirono scontri violentissimi, anche di notte, nel corso dei quali la polizia arrivò a sparare ad altezza d’uomo.
Dopo gli sgomberi e la repressione effettuati dalle forze di polizia, i proprietari facevano entrare e presidiare i palazzi da gruppi di fascisti armati, il che alzava ulteriormente lo scontro politico e militare. In questa operazione parte attiva ebbe la Democrazia Cristiana. In particolare le sezioni di Centocelle e di Valmelaina reclutavano, in cambio di favori di vario tipo, quelli che dovevano presidiare le case. La sezione della DC di Subiaco li reclutò in cambio di 15.000 lire al giorno purché rimanessero anche la notte. La presenza dei fascisti rappresentava un’ulteriore provocazione e la reazione decisa era quella di cacciare i fascisti dalle case tentando di rioccuparle.
Lo scontro più diretto e duro avvenne su via Tiburtina, in palazzi di proprietà di Caltagirone e della Edil Roch, il cui proprietario era un noto fascista dirigente di “Lotta di popolo”, i palazzi erano stati occupati in precedenza da Avanguardia Operaia, che però si era defilata dopo lo sgombero. Si tentò l’assalto contro i fascisti riparati da tubi innocenti sul portone.
I fascisti erano armati e spararono, infatti, su chi tentava di rientrare negli alloggi. Naturalmente, come sempre accadeva in tali circostanze, ci fu subito l’intervento della PS che caricò gli occupanti nelle strade del quartiere arrestando tre compagni e lasciando i fascisti a presidiare i palazzi degli speculatori.
Dopo aver sgomberato gran parte dei 5.000 appartamenti occupati nella prima metà del 1974, polizia e magistratura andarono all’assalto dell’occupazione di San Basilio che non era stata coinvolta negli sgomberi della primavera precedente: Qui nei primi giorni di settembre 1974 iniziò un braccio di ferro di giorni tra occupanti (sostenuti dai militanti della sinistra rivoluzionaria) e la polizia. Quest’ultima, l’8 Settembre del ’74 fece una vera e propria operazione militare. Dopo aver fatto finta di trattare nei giorni precedenti, scatenò le cariche nel pomeriggio in tutto il quartiere uccidendo negli scontri il compagno Fabrizio Ceruso, ma sottovalutando la capacità di risposta e resistenza della gente del quartiere e dei militanti giunti a San Basilio da tutta Roma. Partecipando agli scontri che ne seguirono, i compagni di Casalbruciato, entrarono in contatto con gli occupanti stabilendo un rapporto che si rivelò molto utile nel prosieguo della lotta, perché a novembre gran parte di loro occupò il resto delle palazzine del costruttore Manfredi a Casalbruciato presidiate dai compagni e dove era già stabilizzata una parte dell’originaria occupazione.
Se da un lato c’era la crescita impetuosa delle lotte sociali sulla case e nei quartieri, l’altro elemento che caratterizzava quegli anni era lo scontro con i fascisti e la pratica dell’antifascismo militante. Questo si dipanava praticamente in tutti i quartieri della città di Roma, all’epoca divisi per insediamenti politici impermeabili – o ritenuti impenetrabili – per gli avversari.
I fascisti controllavano le zone ricche e medio borghesi della città: Parioli, Balduina, Piazza Tuscolo, Talenti, Piazza Bologna, soprattutto Roma Nord erano presidiati dalla destra, mentre il quadrante proletario e operaio, quello Est e Sud – da Tiburtino, Casilino a Cinecittà – era presidiato in forze dalla sinistra. Quasi ogni giorno di fronte alle scuole medie e all’Università avvenivano scontri fisici tra fascisti e antifascisti, in particolare nei pressi della facoltà di Legge della Sapienza per la presenza permanente dei fascisti. Il clima era quello di un conflitto politico pesantissimo, dove tentativi di colpo di stato, aggressioni squadriste, repressione poliziesca erano il terreno su cui le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria si misuravano, producendo mobilitazioni a cui partecipavano anche centinaia di migliaia di militanti organizzati e con servizi d’ordine strutturati e “allenati” al conflitto di piazza nelle molteplici forme dell’epoca.
Un esempio tra i molti è quella della tenda piazzata nel maggio del 1976 dai Disoccupati Organizzati a Piazza Venezia. I fascisti al termine di una loro manifestazione conclusasi nella vicina piazza SS Apostoli, cercano di aggredire la tenda. La reazione che ricevettero, fu per loro del tutto inaspettata e dolorosa, tale da dissuaderli in modo estremamente “convincente” riportando cinque feriti. Solo il successivo intervento della polizia contro i disoccupati, che si stavano difendendo, con cariche e lacrimogeni costrinse questi a retrocedere dal presidio intorno alla tenda, permettendo poi ai fascisti di distruggere la tenda stessa sotto protezione poliziesca, ma non senza aver pagato un prezzo salato.
In questo clima di conflitto sociale e operaio, si sono create le condizioni per dare vita all’esperienza che si chiamerà Organizzazione Proletaria Romana. La nascita di questo gruppo politico sarà il prodotto di due componenti del movimento che si scontrano e incontrano, prima in competizione sull’organizzazione dell’autoriduzione nel quartiere di Tormarancia, dove interveniva il collettivo Tormarancia, e poi si impegnano insieme nell’occupazione dei 5000 appartamenti a Roma, una lotta che amalgama nei comportamenti i due gruppi.
Il primo di questi, più consistente, interveniva soprattutto nella zona Est della città, nella fascia più operaia ed in alcune fabbriche a Roma ed a Pomezia. Questo gruppo aveva avviato l’autoriduzione nei quartieri popolari di Tor de’ Schiavi, Villa Gordiani e Quarticciolo. Il secondo proveniva dal Collettivo di Fisica dell’università La Sapienza ed interveniva nelle “isole” proletarie della zona Ovest di Roma (Tormarancia, Garbatella) e nel quartiere di Nuova Ostia (il quartiere dove venne ucciso Pierpaolo Pasolini). Nuova Ostia all’epoca era un recente insediamento popolare costituito da numerosi palazzi comprati dal comune di Roma allo speculatore Armellini. Palazzi rapidamente degradati, condizioni di vita difficili, a pochi metri dalla spiaggia, completamente assenti di servizi, con gli edifici che venivano periodicamente allagati.
Il primo gruppo di militanti si costituiva formalmente e veniva conosciuto come “comitati popolari” e “comitati operai” di fabbrica. Era quello più strutturato anche ideologicamente e ruotava intorno a Roberto Gabriele, un compagno che veniva dalla storia del PCI, essendo stato dirigente negli anni ’50 della FGCI, dopo una parentesi nel Psiup fu poi tra i più attivi nel movimento del ’68.
Il secondo gruppo di militanti, proveniva invece dal movimento universitario, oggi si potrebbe dire che era più movimentista, ed interveniva come “collettivo” nei quartieri dove i suoi componenti abitavano o avevano rapporti politici. La base di provenienza era la facoltà di Fisica della Sapienza, una facoltà nella quale si manteneva un insediamento ed un intervento importante per quella università ed in quegli anni.
Le lotte proletarie, le autoriduzioni delle bollette, le occupazioni delle case, mobilitazione nei quartieri e in fabbrica, l’antifascismo militante e la lotta al riformismo che caratterizzavano le due componenti, furono la base politica e materiale che produsse infine una relazione stabile, che maturò dalla fine del 1974, fino ad arrivare alla decisione nell’estate dell’anno successivo di dare vita ad una struttura unitaria dalla quale rimasero però fuori quella parte dei collettivi che ancora interveniva all’università.