da “Una Storia anomala” primo volume
In via Facchinetti, adiacente alla prima occupazione c’erano circa 200 appartamenti del costruttore Manfredi, nel frattempo acquistati dall’Enasarco e ancora non finiti. I compagni del “Comitato proletario per la Casa” a novembre del ‘74 decisero di presidiarli con famiglie provenienti dalle baraccopoli del Borghetto Prenestino, del Fosso di S. Agnese, ed da altre realtà sociali per consentire che i 140 edili impegnati nella costruzione potessero ultimare gli alloggi.
A gennaio ‘75 il Comitato decide di occupare gli appartamenti nel frattempo ultimati consentendo però che si potesse continuare a lavorare. In risposta Manfredi disponeva la cassa integrazione di tutti gli operai edili.
La locale sezione del PCI “Moranino”, che nei mesi precedenti non si era risparmiata nell’attaccare l’occupazione, comincia a soffiare sul fuoco. Due giorni dopo arriva lo sgombero della polizia con relativi scontri fino alla Tiburtina, ma nel pomeriggio la polizia si ritira consentendo così di rioccupare. A fine gennaio c’è un nuovo violento scontro con l’arresto di 17 compagni occupanti. Nel frattempo il Sunia fa un accordo con il Comune per l’assegnazione degli alloggi occupati ai baraccati del Borghetto Prenestino, trascurando il fatto che nell’occupazione c’erano già 80 famiglie del Borghetto. Un modo per contrapporre gli assegnatari ai loro stessi compagni. Il giorno dopo si rioccupa e in contemporanea prende fuoco la sezione del MSI di via Govean da dove i fascisti avevano sparato ai compagni durante gli scontri della volta precedente.
All’inizio di febbraio il Sunia preme perché si organizzi la cerimonia della consegna delle chiavi ai baraccati, mentre il sindaco Darida propaganda l’accordo con i costruttori per il reperimento entro tre anni di 12.000 alloggi, il cosiddetto piano ISVEUR promosso a suo tempo proprio dai costruttori. Una manovra a tenaglia per dividere e agitare lo specchietto per le allodole.
A quel punto i compagni decidono di intervenire direttamente nel Borghetto Prenestino per impedire la manovra. Questo ed altri borghetti erano vere e proprie “favelas”, che furono gli scenari delle opere di Pasolini, cresciute negli anni precedenti con l’emigrazione dalle regioni meridionali che aveva uno sbocco lavorativo nell’edilizia.
La cerimonia della consegna delle chiavi delle case doveva avvenire nella chiesa di S. Agapito, ma il parroco che viveva nelle baracche si rifiuta, l’assessore Benedetto DC, fiutata l’aria, non si presenta, il Sunia rimedia allora una palestra ma gli va molto male. Il segretario del Sunia, Tozzetti, al grido di buffone, buffone, è costretto ad andarsene. È da sottolineare che la durezza dell’intervento dei compagni era caratterizzato dal fatto che esponenti di primo piano del PCI romano intervengono nelle situazioni scortati dai pugili delle palestre di Pietralata e Quarticciolo, alcuni di loro anche armati.
A Casalbruciato si continua a questo punto ad occupare le case fino a quando, all’alba di martedì 13 maggio, circa 2.000 poliziotti e carabinieri intervengono con durissimi scontri in tutto il quartiere. Durante gli sgomberi delle case occupate a Casalbruciato si oppone una resistenza molto dura con scontri con la polizia nel quartiere e sulla Tiburtina. Militanti di altri collettivi (dal Comitato Comunista Centocelle al Collettivo autonomo Appio-Latino) confluiscono a Casalbruciato a sostegno della lotta e della resistenza delle famiglie occupanti. Si creano così le basi per l’inclusione nell’Opr di nuovi militanti che avevano in comune una “proletarizzazione di fatto” sia come storia sociale che come visione politica del conflitto.
Per sgomberare le case vengono chiamati i camion e i facchini comunali per portare via i mobili degli occupanti, ma questi, per iniziativa delle donne si rifiutano di eseguire lo sgombero e vanno via. Vanno via anche i camionisti della provincia chiamati successivamente.
Il giorno dopo segna una pagina nera per il PCI romano. Il consigliere comunale Vetere e Senio Gerindi dirigente del Sunia, dirigono un gruppo di 60 baraccati per portarli nelle case occupate con i mobili ancora dentro. Un altro consigliere comunale del PCI, Arata, concorda con la polizia una nuova carica per consentirne l’ingresso. Nel pomeriggio militanti delle sezioni del PCI di Quarticciolo, Centocelle e Villa Gordiani si incaricano di portare via i mobili, molti gettandoli persino dalle finestre. Seguono scontri violentissimi sotto le case occupate e nel quartiere, tanto che in serata fu costretto a riunirsi il consiglio comunale che prende l’impegno di risarcire i danni e assegnare una casa a tutte le famiglie in due tranches nel corso dell’anno.
Da quel momento comincia un’altra storia. Viene occupato un asilo nido in costruzione, l’anno seguente si riesce a portare tutte le famiglie del Borghetto Prenestino nelle case in via Satta (a Casalbruciato), a prendere le case a Colleverde nel comune di Guidonia, si conquistano anche le case per le famiglie che vivevano negli scantinati di Quarticciolo, ecc. Una lotta esemplare, un’alta e matura espressione di forza, una capacità di disciplina organizzativa e di lucidità politica che ha consentito le ulteriori prospettive.
È da sottolineare, perché di grande rilievo, anche il consenso e il sostegno che si riuscì ad ottenere da una parte degli intellettuali che all’epoca erano dominio assoluto del PCI. Per finanziare la lotta fu organizzata una mostra di quadri di molti pittori famosi (Schifano, Dorazio, Turcato, Sebastian Matta, ecc.), quest’ultimo invitò i compagni nella sua casa di Tarquinia la sera del 30 aprile e quando arrivò la notizia che Saigon era stata liberata dagli americani, per festeggiare decise di donare dieci sue litografie a sostegno della lotta. Il maestro del jazz Giorgio Gaslini prima e il flautista Severino Gazzelloni poi, tennero due concerti nel cortile delle case occupate a Casalbruciato, Quella che diventerà una nota attrice, Isabella Rossellini, contribuì a tenere in piedi l’asilo nido occupato dopo lo sgombero per consentire alla donne di lavorare o più spesso di manifestare. Nel Settembre del 1975 in una sede nel quartiere popolare di Centocelle, in via degli Ontani, si diede vita all’Organizzazione Proletaria Romana (Opr), definendo il carattere ed il nome della struttura politica, articolandola su strutture di massa che furono le gambe organizzate dentro i settori sociali di riferimento.
I caratteri dell’organizzazione che si andava formando erano estremamente militanti e con una disciplina informale ma molto rigida che teneva conto della durezza dello scontro sociale e politico di quegli anni. Questa della disciplina interna non era una regola inserita in uno statuto nè un dato astrattamente ideologico in quanto nella condizione concreta del conflitto, dalla repressione all’uso dei fascisti da parte dello Stato, e nello scontro con il PCI (che non era solo ideologico ma determinava la possibilità concreta di intervento nei quartieri proletari e nelle fabbriche) era un presupposto per fare politica.
Questa disciplina era necessaria anche nella competizione con i gruppi della sinistra rivoluzionaria del tempo, peraltro molto più consistenti dell’Opr. In sintesi la tenuta dell’organizzazione è stato il carattere più importante che ha permesso la sua continuità politica. Successivamente, e più precisamente negli anni ’90, questo dato della disciplina dovrà rimodellarsi ed adeguarsi alle nuove condizioni generali di ritirata strategica, ma rimarrà un elemento fondante per il proseguimento politico dell’esperienza iniziata negli anni ’70.
Questo chiamarsi fuori dall’ambito dei “gruppettari” della sinistra extraparlamentare e/o radical/chic, era un po’ la “stella polare” del modello di formazione e organizzazione politica, la quale fece una scelta di campo netta nell’intervento proletario ed operaio, ridimensionando in quegli anni anche l’intervento politico generale e quello internazionalista, che pure era un elemento di mobilitazione forte. Anche se occorre dire che la vittoria nel Vietnam del 1975 chiuse una prima potente fase di mobilitazioni internazionaliste, le quali ripresero solo con la fine degli anni ’70 e con le rivoluzioni in Nicaragua, in Iran e successivamente in Salvador. In quella metà del decennio ci furono comunque molte mobilitazioni internazionaliste sul Cile dopo il colpo di stato di Pinochet nel 1973, contro la Spagna franchista e la dittatura di Salazar in Portogallo. In Spagna e Portogallo, tra il 1974 e il 1979, ci fu la fine delle dittature e contestuamente la conquista dell’indipendenza dell’Angola, del Mozambico (ex colonie portoghesi) che furono subito oggetto di aggressione da parte del Sud Africa razzista e degli USA. Nè mancarono le mobilitazioni a fianco della resistenza del popolo Palestinese.
Sebbene all’inizio la struttura dell’Opr fosse solo cittadina, l’estensione territoriale era abbastanza consistente, così come l’intervento nelle fabbriche che tendeva a crescere. L’autoriduzione delle tariffe elettriche era una lotta che aveva una forte capacità di generalizzazione e per diversi anni, fino all’85, ha rappresentato la possibilità di intervento in molti quartieri: da quelli situati nella zona Tiburtina e Casilina ai già richiamati Tormarancia e Nuova Ostia fino a quartieri come Garbatella e Trullo. Un altro capitolo da non trascurare è quello della lotta contro il carovita che vedeva come controparte l’Ente Comunale di Consumo, tesa a ottenere prezzi calmierati dei beni di prima necessità. Furono organizzate diverse manifestazioni al Centro Carni di Quarticciolo. Dopo varie iniziative e l’occupazione del Centro si ottenne la distribuzione della carne presso lo spaccio aziendale a prezzi notevolmente più bassi.
Anche nelle fabbriche ci fu uno sviluppo dei comitati operai dall’Autovox alla Voxon, che erano tra le più grandi fabbriche romane dell’elettronica civile (produzione di TV ed autoradio) nelle fabbriche di Pomezia, in particolare alla IME (gruppo Montedison). L’Opr si dotò anche di un giornale chiamato “Foglio di Lotta” e di un Bollettino interno, entrambi con periodicità variabile.
Insomma dalla costituzione dell’Opr, emerse una spinta forte sul rilancio del lavoro di classe che passò dall’episodicità alla sistematicità, individuando terreni sociali e punti di intervento che assumevano sempre più un carattere generale, superando in modo progettuale lo specifico delle singole lotte.
Questo passaggio all’organizzazione coincise con la vittoria del PCI nel 1975 nei più grandi comuni del paese (Torino, Napoli, Milano) ed anche a Roma. Si determinò così uno scenario che creò una condizione nuova per le lotte, in quanto la funzione storica del PCI, cioè quella dell’emancipazione dei lavoratori del paese, si evidenziava come contraddizione della funzione di governo che quel partito veniva assumendo. La prospettiva era quella del compromesso storico con la DC e dunque dell’ingresso nel governo dopo anni di esclusione imposta dagli Usa. Questa prospettiva si delineò nel 1977 con l’internità alla maggioranza governativa con la DC (governo Andreotti) tramite l’astensione in Parlamento.
Questo passaggio politico nel paese, che veniva condannato dalla sinistra rivoluzionaria come ennesima svolta riformista sul piano direttamente politico e delle finalità del Pci, sul terreno di classe fece capire che andava a modificare le condizioni per costruire l’organizzazione proletaria nei quartieri in quanto, pur nella durezza dello scontro feroce che esisteva con le nuove giunte di sinistra, queste non potevano chiudersi completamente alla richieste rivendicative dei settori popolari, anche se organizzati in modo politicamente indipendente dal Pci, pena il pagamento di un prezzo politico ed elettorale.
Sulla base di questa valutazione di passaggio generale e del retroterra organizzato nei quartieri proletari, venne ripresa una offensiva delle lotte sul terreno classico della casa ma, per la prima volta, anche su quello della disoccupazione che ormai si andava configurando come emergenza sociale, soprattutto tra i giovani ma anche tra molti ex operai licenziati dalle fabbriche e dai cantieri.
Dall’inizio del 1975 a Napoli si era sviluppato un forte movimento di lotta dei disoccupati organizzati che aveva anche aperto una trattativa con il governo e gli enti locali. Questo movimento era gestito da Lotta Continua, e da un “capo popolo”, Mimmo Pinto (finito nelle file del partito Radicale e poi del Partito Socialista). Questo movimento ebbe un risalto enorme nel paese e si moltiplicarono i tentativi di organizzazione dei disoccupati in altre città. A Roma l’iniziativa tra i disoccupati venne avviata a Gennaio del 1976 all’ufficio di collocamento su iniziativa di Lotta Continua, che convocò una prima assemblea con Mimmo Pinto nella sede dello storico comitato di quartiere dell’Alberone, vicino al nuovo ufficio di collocamento. L’Opr colse al volo l’occasione e si inserì in quel movimento, seppur ancora egemonizzato dagli altri, ma che rappresentava una grande contraddizione per l’Italia di quegli anni. Iniziava infatti la crisi della fabbrica fordista e l’epoca del decentramento produttivo, accentuata dalla crisi del petrolio e dalle politiche di austerity che vedevano un aumento fortissimo della disoccupazione tra gli operai di fabbrica e dell’edilizia, settore che a Roma occupava moltissimi operai e che era un terreno di tensione sociale fortissimo. Da quella prima assemblea dei disoccupati organizzati, presero le mosse molte mobilitazioni che all’inizio avevano un carattere di agitazione generale con la parola d’ordine del “Salario Garantito” di fronte al crescere della disoccupazione. La mobilitazione portò anche ad alcuni risultati parziali come l’erogazione del sussidio comunale ottenuto con l’occupazione dell’ECA, (ente di assistenza comunale). Erano risultati parziali ma ebbero un’eco forte tra i disoccupati all’ufficio di collocamento, dove ogni mattina c’era un presidio del comitato disoccupati organizzati di Roma. Ma il ripetersi e l’ampliarsi delle mobilitazioni arrivarono fino al momento in cui il comune rifiutò l’erogazione del sussidio. A quel punto si pose il problema della lotta per il lavoro. Avendo già messo insieme una base di massa sufficientemente consistente tra i disoccupati, prese avvio una vertenza “per il lavoro” che si rivolse verso gli enti locali dove il PCI ormai governava avviando il periodo delle giunte di sinistra assieme ai socialisti. Si arrivò anche ad occupare per tutta la stagione estiva, uno stabilimento balneare sul litorale di Ostia dal nome “Ancora Rossa”.
Nel movimento a quel punto emersero delle contraddizioni, in particolare nel rapporto con la CGIL e con la crisi politica di Lotta Continua che a fine del 1976 portò di fatto al suo scioglimento. Da qui l’Opr ruppe con chi intendeva dialogare con la CGIL ed avviò un proprio percorso di lotta ricostituendo il “Comitato Disoccupati Organizzati” di Roma, avviando una fase di duro confronto con le amministrazioni locali, a partire dalla Provincia e dalla Regione Lazio. Queste lotte ottennero risultati importanti negli anni successivi con l’ottenimento dei corsi professionali retribuiti e la formazione di cooperative di lavoro. Queste trovarono poi sbocco nella legge per l’occupazione giovanile (la Legge 285), che assunse 60.000 precari, ed infine furono una larga base sociale, sia a Roma che a livello nazionale, per la costituzione di quelle che diventeranno le strutture sindacali RdB, alla fine degli anni ‘70.
Dopo la vittoria elettorale del PCI nel 1975 e nel 1976, i gruppi della sinistra extraparlamentare, di fronte al risultato ritenuto deludente della lista unitaria Democrazia Proletaria, furono investiti dal cosiddetto “riflusso”, qui e lì si affacciava quella “crisi della militanza” che investì più pesantemente Lotta Continua, ma non solo.
L’offensiva sociale messa in campo dall’Opr, aveva trovato nel movimento dei disoccupati una forte base di classe che si andava a saldare con quella dei quartieri proletari e con il rilancio della lotta per la casa. Dopo la vittoria con l’ottenimento delle case del costruttore Manfredi, occupate a Casalbruciato, fu aperta anche quella che sarà sede storica dell’Opr, sia per l’attività nel quartiere e che per la sede di Radio Proletaria, e venne rilanciata la lotta per la casa puntando non a grandi occupazioni ma al moltiplicarsi di occupazioni mirate su obiettivi che potevano permettere il raggiungimento di un risultato concreto.
Questo passaggio della lotta per la casa avvenne tra il 1976 e i primissimi mesi del 1977, con l’occupazione di due palazzine a Quarticciolo e dei palazzi di Armellini a Tormarancia. Dunque la nascita dell’Opr aveva portato nel giro di un anno alla ripresa del movimento popolare a Roma, che si aggiungeva all’autoriduzione delle tariffe elettriche e della relativa organizzazione popolare nei quartieri che continuava a crescere a tre anni dall’ avvio del processo di composizione dei due gruppi di intervento.
Si era cioè riusciti a costruire una base di classe disponibile alla mobilitazione, sulla base di una concezione politica, che cresceva in rapporto inversamente proporzionale alla crisi del “gruppettarismo” della sinistra extraparlamentare che rimaneva esclusivamente legato alla politica generale ed al movimento degli studenti.
Protagoniste di queste lotte, soprattutto di quella per la casa e quelle sui servizi e carovita nei quartieri, furono le donne proletarie che ebbero un ruolo straordinario in quanto sono state loro la vera avanguardia perchè ci misero coraggio, grinta, determinazione, anche nello scontro fisico con la polizia negli sgomberi, nei picchetti contro i distacchi per l’autoriduzione ed in tutti i momenti di conflitto. In sostanza assunsero la lotta come un terreno di liberazione non solo sul piano dei bisogni materiali, che forse vivevano più acutamente dei maschi, ma anche rispetto al ruolo in cui erano confinate prima, si sono riappropriate di se stesse spesso mettendo in crisi anche i ruoli familiari ed hanno contribuito al clima di quegli anni che vedeva anche la nascita del movimento femminista.
La verifica di questo risultato si ebbe a fine del 1976 quando fu convocata una manifestazione al Campidoglio in cui parteciparono i disoccupati organizzati, gli occupanti di case, le famiglie dei quartieri dove si praticava l’autoriduzione delle tariffe ed i comitati operai delle fabbriche romane, determinando un fatto nuovo per la città. Alla manifestazione parteciparono infatti oltre un migliaio di persone, un corteo che per la prima volta aveva un carattere tutto di classe, senza gli “studenti” a ingrossare le file come si diceva all’epoca, e gestita da forze che si contrapponevano al PCI ed alla CGIL, i quali avevano mantenuto la totale egemonia nei settori operai e di classe nel paese e, tanto più, nella città di Roma. Nel giugno del 1976 il Pci ottiene per il secondo anno dopo il 1975 una forte affermazione elettorale nelle elezioni politiche. Democrazia Proletaria, la lista elettorale messa in piedi dai principali gruppi dell’estrema sinistra (Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Partito di Unità Proletaria) ottiene un risultato inferiore alle aspettative (1,5%, 557mila voti, 6 deputati).
Si assiste ad una fase di disgregazione e riflusso nei gruppi extraparlamentari e ad una crescita dell’egemonia del Pci sull’intera sinistra. Nella seconda metà del 1976 le uniche iniziative di rilievo saranno le contestazioni alla mercificazione della cultura con le autoriduzioni del biglietto dei cinema.
La manifestazione di contestazione alla prima della Scala a Milano, il 7 dicembre, viene duramente repressa dalla polizia con centinaia di arresti e segna la fine di una fase storica dei gruppi extraparlamentari.
Il corteo “proletario” dell’Opr alla fine del 1976 era dunque una iniziativa in netta controtendenza, A quella anomala manifestazione parteciparono gli osservatori di tutte le espressioni romane dei gruppi extraparlamentari – e dello stesso Pci – per verificare la sua riuscita. Questa manifestazione sicuramente fu un risultato ma fu anche l’evidenza della solidità del metodo di lavoro di classe adottato. Ma appena due mesi dopo questo corteo “proletario”, esplose il movimento del ’77, il quale cambiò le carte in tavola nello scenario del conflitto e per diversi anni, un dato che costrinse l’OPR a praticare il terreno della lotta politica che fino ad allora erano stato subordinato alla scelta di intervento prioritario nei settori proletari ed operai metropolitani.